
Il primo discorso natalizio del Papa è in perfetto stile bergogliano. E anticipa il primo concistoro straordinario del pontificato, a inizio gennaio, nel quale si parlerà di liturgia (con l'eterno derby tra conservatori e progressisti) ma anche di riforma dell'apparato vaticano
“Questa amarezza a volte si fa strada anche tra di noi quando, magari dopo tanti anni spesi al servizio della Curia, notiamo con delusione che alcune dinamiche legate all’esercizio del potere, alla smania del primeggiare, alla cura dei propri interessi, non stentano a cambiare. E ci si chiede: è possibile essere amici nella Curia romana? […]
“Questa amarezza a volte si fa strada anche tra di noi quando, magari dopo tanti anni spesi al servizio della Curia, notiamo con delusione che alcune dinamiche legate all’esercizio del potere, alla smania del primeggiare, alla cura dei propri interessi, non stentano a cambiare. E ci si chiede: è possibile essere amici nella Curia romana? Avere rapporti di amichevole fraternità? Nella fatica quotidiana, è bello quando troviamo amici di cui poterci fidare, quando cadono maschere e sotterfugi, quando le persone non vengono usate e scavalcate, quando ci si aiuta a vicenda, quando si riconosce a ciascuno il proprio valore e la propria competenza, evitando di generare insoddisfazioni e rancori”. È il passaggio chiave del primo discorso natalizio di Leone XIV alla Curia romana, ricevuta nell’Aula della Benedizione, nella prima loggia del Palazzo Apostolico. Un testo in perfetto stile bergogliano. Francesco, infatti, proprio in questa occasione, nel 2014, pronunciò un durissimo e indimenticabile discorso sulle quindici malattie curiali. Mentre Prevost, pochi giorni dopo la sua elezione, aveva detto: “I papi passano, la Curia rimane”. Un’affermazione che sembrava aver ribaltato completamente la visione anticuriale di Bergoglio.
Chiusa la Porta Santa di San Pietro, il 6 gennaio 2026, Leone XIV terrà il primo concistoro straordinario del suo pontificato, il 7 e l’8 gennaio, per discutere in modo collegiale del governo della Chiesa. Una richiesta emersa con forza nelle dodici congregazioni generali dei cardinali che hanno preceduto il conclave che ha eletto Prevost. Diversi i temi indicati dal Papa nella lettera di convocazione inviata ai porporati di tutto il mondo. Tra essi spiccano in particolare quello della riforma della Curia romana, promulgata da Francesco, il 19 marzo 2022, con la costituzione apostolica Praedicate Evangelium, e quello della liturgia, in una perenne lotta tra conservatori, legati alla messa tridentina, e progressisti, sostenitori della riforma liturgica del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Non a caso Leone XIV ha sottolineato che “la comunione nella Chiesa rimane sempre una sfida che ci chiama alla conversione. Talvolta, dietro un’apparente tranquillità, si agitano i fantasmi della divisione. E questi ci fanno cadere nella tentazione di oscillare tra due estremi opposti: uniformare tutto senza valorizzare le differenze o, al contrario, esasperare le diversità e i punti di vista piuttosto che cercare la comunione. Così, nelle relazioni interpersonali, nelle dinamiche interne agli uffici e ai ruoli, o trattando le tematiche che riguardano la fede, la liturgia, la morale e altro ancora, si rischia di cadere vittime della rigidità o dell’ideologia, con le contrapposizioni che ne conseguono. Noi, però, siamo la Chiesa di Cristo, siamo le sue membra, il suo corpo. Siamo fratelli e sorelle in lui. E in Cristo, pur essendo molti e differenti, siamo una cosa sola: ‘In Illo uno unum’. Siamo chiamati, anche e soprattutto qui nella Curia, ad essere costruttori della comunione di Cristo, che chiede di prendere forma in una Chiesa sinodale, dove tutti collaborano e cooperano alla medesima missione, ciascuno secondo il proprio carisma e il ruolo ricevuto. Ma questo si costruisce, più che con le parole e i documenti, mediante gesti e atteggiamenti concreti che devono manifestarsi nel nostro quotidiano, anche nell’ambito lavorativo”.
Il Papa, inoltre, ha spiegato che “la missione di Gesù sulla terra, prolungata nello Spirito Santo in quella della Chiesa, diventa criterio di discernimento per la nostra vita, per il nostro cammino di fede, per le prassi ecclesiali, come pure per il servizio che svolgiamo nella Curia romana. Le strutture, infatti, non devono appesantire, rallentare la corsa del Vangelo o impedire il dinamismo dell’evangelizzazione; al contrario, dobbiamo fare in modo che esse diventino tutte più missionarie. Nello spirito della corresponsabilità battesimale, perciò, tutti siamo chiamati a partecipare alla missione di Cristo. Anche il lavoro della Curia dev’essere animato da questo spirito e promuovere la sollecitudine pastorale al servizio delle Chiese particolari e dei loro pastori. Abbiamo bisogno di una Curia romana sempre più missionaria, dove le istituzioni, gli uffici e le mansioni siano pensati guardando alle grandi sfide ecclesiali, pastorali e sociali di oggi e non solo per garantire l’ordinaria amministrazione”.
Alla Curia romana Leone XIV ha regalato il libro La pratica della presenza di Dio di Fra Lorenzo della Risurrezione, a cura di Maria Rosaria Del Genio, ripubblicato recentemente dalla Libreria Editrice Vaticana con la prefazione del Papa. Nel volo di ritorno dal suo primo viaggio apostolico, che si è svolto in Turchia e Libano, Leone XIV aveva indicato proprio questo volume a un giornalista che gli chiedeva quale testo leggere, oltre ovviamente a quelli scritti da sant’Agostino, per capire chi è Prevost. “È un libro molto semplice, – disse in quell’occasione il Papa – scritto da qualcuno che non scrive nemmeno il suo cognome, frate Lawrence. L’ho letto molti anni fa. Ma descrive, se vogliamo, un tipo di preghiera e di spiritualità in cui si offre semplicemente la propria vita al Signore e si lascia al Signore la guida. Se vuole sapere qualcosa su di me, quella è stata la mia spiritualità per molti anni”.
Se l’omaggio al suo immediato predecessore era a dir poco scontato, Leone XIV, parlando alla Curia romana, non ha usato parole formali per farlo: “La sua voce profetica, il suo stile pastorale e il suo ricco magistero hanno segnato il cammino della Chiesa di questi anni, incoraggiandoci soprattutto a rimettere al centro la misericordia di Dio, a dare maggiore impulso all’evangelizzazione, ad essere Chiesa lieta e gioiosa, accogliente verso tutti, attenta ai più poveri”. Infine, Prevost non ha mancato di ricordare lo scenario attuale: “Un mondo ferito da discordie, violenze e conflitti, in cui assistiamo anche a una crescita di aggressività e di rabbia, non di rado strumentalizzate dal mondo digitale come dalla politica. Il Natale del Signore reca con sé il dono della pace e ci invita a diventarne segno profetico in un contesto umano e culturale troppo frammentato. Il lavoro della Curia e quello della Chiesa in generale – ha concluso il Papa – va pensato anche in questo orizzonte ampio: non siamo piccoli giardinieri intenti a curare il proprio orto, ma siamo discepoli e testimoni del Regno di Dio, chiamati ad essere in Cristo lievito di fraternità universale, tra popoli diversi, religioni diverse, tra le donne e gli uomini di ogni lingua e cultura. E questo avviene se noi per primi viviamo come fratelli e facciamo brillare nel mondo la luce della comunione”.