
Il ritorno operativo dell’organizzazione avviene in parallelo al prevedibile inasprimento delle pressioni militari contro di essa sul fronte siriano
Due eventi lontani geograficamente ma vicini sul piano ideologico si sono verificati con una tempistica significativa: l’attacco terroristico nella capitale australiana Sydney, che ha preso di mira un raduno civile durante una celebrazione legata alle festività ebraiche, e l’attacco nella città siriana di Palmira contro soldati americani, compiuto da un membro delle forze di sicurezza siriane. Due episodi che riportano al centro del dibattito la questione della gestione degli elementi con un passato jihadista, e i rischi legati a un affidamento totale su di essi, con conseguenze dirette sul piano della sicurezza.
La coincidenza di questi due attacchi con l’avvio dei preparativi per un nuovo confronto con lo Stato Islamico in Siria riapre interrogativi fondamentali sulla reale capacità dell’attuale amministrazione siriana di svolgere un ruolo efficace in questa fase, così come sulla natura dei rischi di sicurezza che potrebbero derivarne, sia all’interno della Siria sia oltre i suoi confini.
Il ritorno operativo dell’organizzazione avviene in parallelo al prevedibile inasprimento delle pressioni militari contro di essa sul fronte siriano. È plausibile che l’Isis scelga di intensificare le proprie operazioni non solo per affrontare direttamente il potere di Damasco, ma anche per indebolirlo e metterne in luce la fragilità. Queste operazioni potrebbero non limitarsi alle tradizionali aree di influenza nel deserto siriano o nel sud del Paese, ma estendersi anche ai centri urbani, nel tentativo di attribuire all’azione una dimensione politica e di inviare un messaggio di minaccia diretta, dimostrando la capacità del gruppo di superare la logica della sopravvivenza ai margini del centro politico.
Questo percorso aumenta la probabilità di una riattivazione delle reti jihadiste, soprattutto se l’escalation dovesse tradursi in un indebolimento dell’autorità locale e in una frammentazione del controllo della sicurezza. Fratture interne, proteste locali e assenza di una presa centrale efficace creano infatti un terreno favorevole al ritorno delle cellule jihadiste, in particolare di quelle organizzazioni che, per loro natura, perseguono ambizioni regionali e transnazionali. In un simile contesto, non è escluso che questi gruppi ricorrano a forme di cooperazione temporanea con milizie locali per ottenere armi o basi operative, trasformando lo scenario in un conflitto prolungato, suscettibile di espansione verso le aree limitrofe.
Sul piano internazionale, il principale significato dell’attacco di Sydney risiede nel fatto che la strategia dei “lupi solitari” resta lo strumento più efficace per l’organizzazione. Tuttavia, questi lupi solitari non sono necessariamente individui isolati, ma spesso elementi inseriti in una struttura organizzata. Le informazioni emerse indicano che gli autori dell’attacco avrebbero ricevuto addestramento nelle Filippine, oltre a istruzioni precise sulle modalità, il luogo e il momento dell’azione. Attraverso queste operazioni, l’Isis mira a trasmettere un messaggio chiaro: il suo ritorno sulla scena internazionale e la sua capacità di colpire in contesti geografici ampi e distanti tra loro.
Nella sua nuova narrativa, l’organizzazione tenta di sfruttare il clima di crescente antisemitismo emerso negli ultimi mesi, senza tuttavia modificare i propri obiettivi fondamentali, che restano il bersagliamento di Stati, luoghi di culto e civili. Questa linea conferma l’intento di dimostrare la capacità di operare su scala globale, soprattutto in vista di un confronto diretto nei suoi bastioni in Siria.
Con la riattivazione delle cellule dormienti e la diffusione di un clima di minaccia su scala globale, il mondo entra in una nuova fase di sfide alla sicurezza che non si limiteranno alle forme tradizionali di terrorismo o ad attacchi di bassa complessità. Al contrario, la varietà delle possibili modalità operative appare in aumento, anche alla luce del tentativo dell’organizzazione di sfruttare le contraddizioni e le fratture emerse negli ultimi due anni, insieme ai profondi cambiamenti sociali e politici attraversati da diverse società.
L’Isis cerca inoltre di capitalizzare l’ampliamento della categoria dei “nemici” nel discorso politico americano, che oggi include un ampio spettro di attori, da Hezbollah e Hamas fino ai Fratelli Musulmani e altri ancora. Questo contesto offre all’organizzazione uno spazio narrativo favorevole per giustificare le proprie azioni e costruire alleanze tattiche temporanee.
La riattivazione della coalizione internazionale contro lo Stato Islamico potrebbe apparire come una risposta naturale a questa escalation, ma l’assenza di attori realmente efficaci sul terreno, in particolare in Siria, rende difficile immaginare una conclusione rapida di questo confronto e aumenta il rischio di un conflitto prolungato. Affidarsi al governo siriano per svolgere un ruolo decisivo non rappresenta una garanzia, alla luce delle complesse dinamiche interne e della difficoltà di un coinvolgimento diretto e affidabile delle sue forze.
Riaprire il dossier del confronto con l’Isis significa inevitabilmente accettare un aumento del rischio di attacchi terroristici. L’organizzazione continuerà a fare leva sull’effetto sorpresa e sull’amplificazione mediatica, colpendo luoghi ad alto valore simbolico per rafforzare l’immagine di un attore capace di agire nelle capitali più sensibili. Una strategia propagandistica collaudata, che l’Isis ha sempre utilizzato sfruttando eventi e ricorrenze simboliche per massimizzare l’impatto psicologico e mediatico.