
La missione di Lopez sostenuta anche dalla Santa Sede. Consegnerà a Maduro una lettera a firma della madre di Alberto, Armanda Colusso. “Punto su pace e diplomazia”
Si apre un nuovo canale di trattativa per il rilascio e il ritorno a casa di Alberto Trentini, l’operatore umanitario 46enne di Lido Venezia, recluso da più di un anno nel maxi-carcere venezuelano de El Rodeo I. Non stiamo parlando di svolte diplomatiche nei rapporti Roma-Caracas – dove tuttora regna il silenzio, come nella prigionia […]
Si apre un nuovo canale di trattativa per il rilascio e il ritorno a casa di Alberto Trentini, l’operatore umanitario 46enne di Lido Venezia, recluso da più di un anno nel maxi-carcere venezuelano de El Rodeo I. Non stiamo parlando di svolte diplomatiche nei rapporti Roma-Caracas – dove tuttora regna il silenzio, come nella prigionia stessa di Alberto –, ma di un canale di trattativa aperto dall’ambasciatore Onu Alberto López (nella foto a sinistra insieme al deputato venezuelano Luis Eduardo Martinez), venezuelano radicato a Vienna, con il sostegno del Palazzo di Vetro, l’Organizzazione internazionale per lo sviluppo delle relazioni diplomatiche, l’Organizzazione internazionale per i diritti umani e dalla Santa Sede.
López è giunto a Caracas qualche giorno fa dopo aver fatto tappa in Francia, Colombia e Panama fino a raggiungere, via terra, il Venezuela. Ha aggirato così il blocco dello spazio aereo imposto dagli Usa e in vigore fino al marzo 2026. Nel giro di poche ore il diplomatico ha incontrato personalità e rappresentanti di spicco dello Stato venezuelano e si è recato di persona a El Rodeo I e, pur non avendo incontrato Trentini, ha avuto un colloquio “cordiale” con il direttore del penitenziario. La sua roadmap prevede anche un incontro con il presidente venezuelano Nicolás Maduro. Per l’occasione – che potrebbe essere oggi – López consegnerà a Maduro una lettera a firma della madre di Alberto, Armanda Colusso, arrivata tramite la legale della famiglia, Alessandra Ballerini.
“Sono qui per restituire un sereno Natale alla famiglia Trentini e riportare Alberto a casa. Il mio operato non prevede formule magiche: punto alla pace, a rispetto e alla diplomazia, capace di costruire ponti tra mondi distanti”, dice a Ilfattoquotidiano.it, mentre gli chiediamo delle modalità con cui intende superare i malintesi e le diffidenze che hanno finora condizionato la trattativa sul rilascio del cooperante.
López, 29 anni – giovane per gli italiani, ma abbastanza adulto per la società venezuelana – non nega le difficoltà del contesto locale, assai peggiorato dopo il sequestro di alcune petroliere al largo del Paese sudamericano, le nuove sanzioni occidentali e i venti di guerra che giungono dal Pentagono. Tuttavia questi problemi non riguardano la sua missione, con la quale spera di “ottenere risultati positivi”, “restituire la libertà ad Alberto” e la “pace nel cuore dei suoi familiari”.
La missione diplomatica di López è frutto di un “lavoro di squadra” portato avanti su iniziativa di Michela Turco, ambasciatrice dell’Organizzazione internazionale per i diritti umani, anche lei radicata a Vienna. “Ci stiamo lavorando da mesi, in silenzio, e soltanto ora rendiamo pubblica l’operazione”, spiega López a Ilfatto.it sottolineando gli sforzi compiuti in tre mesi di “impegno, dialogo e tessitura di relazioni”.
La scelta è ricaduta su di lui in quanto venezuelano e conoscitore del Paese sudamericano. “Ho lavorato nel Cicpc, la Polizia scientifica, e sono cresciuto con persone che attualmente operano nel mondo delle istituzioni, specie nell’Assemblea nazionale, e che mi sta dando una mano nella trattativa su Alberto“, racconta. Di qui la possibilità di fare ingresso, senza problemi, in un Paese iper-sorvegliato e muoversi con scioltezza lì dentro, nonostante le difficoltà sociali e politiche del conteste.
López conosce persone vicine sia al governo di Nicolás Maduro che alle opposizioni venezuelane e si racconta a Ilfatto.it come un uomo “prudente”, che non è “per fare politica” né “per attirare l’attenzione”, bensì per “convincere le autorità venezuelane a compiere un gesto di umanità nei confronti di un innocente”. Il lavoro di questi giorni viene puntualmente rendicontato nelle relazioni che ogni giorno spedisce in Italia. “Qui l’opinione pubblica non conosce bene il motivo per cui Alberto è stato detenuto”, commenta il diplomatico, ricordando la peculiarità di un Paese che vive in Stato di allerta a causa del timore di eventuali incursioni armate provenienti dall’esterno. “Di qui i crescenti sospetti nei confronti dei cittadini stranieri, soprattutto se occidentali”, osserva López. “Se le forze armate ti fermano e percepiscono ansia, paura e risposte poco chiare, potresti finire in arresto”.
Al di là dell’innocenza di Alberto, ostaggio e pedina di scambio di Maduro con l’Italia, il diplomatico sottolinea la differenza che “separa Paesi come l’Italia, caratterizzati da una certa libertà di movimento, e come il Venezuela, dove i posti di blocco sono all’ordine del giorno”.
Per quanto riguarda le trattative con il governo venezuelano López commenta: “Possiamo dire con certezza che qualcosa si sta muovendo. È anche nell’interesse di Palazzo di Miraflores chiudere l’Anno giubilare, dedicato alla speranza, con un gesto di grazia e di umanità”. E aggiunge: “a volte occorre un po’ di empatia, lasciando da parte le ideologie che dividono il mondo e creano muri”. Da quest’imprevedibile storia, comunque vada, c’è già un dato da cogliere: finora, a più di 400 giorni di prigionia, non si è mai stati così vicini al ritorno di Alberto.