
Gli agenti del Controspionaggio militare hanno riunito i reclusi, anche stranieri, nel cortile del penitenziario: "Se gli Stati Uniti ci toccano vi ammazziamo tutti". La madre dell'italiano: "Chi ha il potere di liberarlo faccia presto"
“Se gli Stati Uniti ci toccano sarete i primi a morire”. In pieno assedio militare Usa – con il blocco totale delle petroliere e il governo di Nicolás Maduro definito organizzazione terroristica da Donald Trump – gli agenti del Dgcim, il Controspionaggio militare venezuelano, hanno radunato i detenuti de El Rodeo I nel cortile del […]
“Se gli Stati Uniti ci toccano sarete i primi a morire”. In pieno assedio militare Usa – con il blocco totale delle petroliere e il governo di Nicolás Maduro definito organizzazione terroristica da Donald Trump – gli agenti del Dgcim, il Controspionaggio militare venezuelano, hanno radunato i detenuti de El Rodeo I nel cortile del maxi carcere, compresi gli stranieri per minacciarli di morte in caso di attacco militare Usa contro il Paese sudamericano. “Non illudetevi di farla franca, perché nessuno verrà a salvarvi. Di voi ci occuperemo personalmente”, hanno ribadito gli agenti del Dgcim, l’agenzia di Intelligence che gestisce il penitenziario del Distretto federale e il cui direttore di Affari speciali, Alexander Gramko, permane sotto sanzioni Usa e Ue a causa del suo coinvolgimento in “episodi di tortura” e “crimini di lesa umanità” contro la popolazione civile. La denuncia è giunta a Ilfattoquotidiano.it da alcuni familiari dei detenuti ne El Rodeo I, che hanno chiesto l’anonimato per evitare rappresaglie da parte delle Forze dell’ordine.
In seguito le minacce contro i detenuti sono state confermate dalla legale venezuelana in esilio Tamara Suju, la quale ha riferito a Ilfattoquotidiano.it: “La minaccia è stata rivolta a prigionieri locali e stranieri. Si tratta anche un messaggio rivolto agli Stati, soprattutto occidentali, che hanno dei connazionali detenuti al Rodeo I, affinché trattino con il governo venezuelano per riportare a casa i loro ostaggi. Del resto la condizione dei prigionieri a El Rodeo I è fatiscente e disumana e la loro detenzione viene usata come strumento di ricatto nei confronti di familiari, istituzioni e Paesi terzi, nel caso dei detenuti stranieri”. Mentre parliamo l’avvocata Suju conclude alcune pratiche relative all’ampiamento di una misura cautelare concessa dalla Commissione interamericana per i diritti umani per il detenuto Henry Castillo a beneficio delle sue nipoti, Samantha e Arantza Hernández, 16 e 19 anni, prese in ostaggio e in sparizione forzata. Il motivo: “Il loro fratello, soldato, non ha voluto impugnare le armi contro un gruppo di manifestanti. E se la sono presa con i familiari”. Pensiamo ad Alberto Trentini, che non ha fatto niente ma è detenuto nel penitenziario, e cerchiamo rassicurazioni sul trattamento agli stranieri, ma non vi sono garanzie: “Che vantaggio può avere in una cella 2×2, inserita in uno dei centri di tortura più grandi dell’America Latina? Spesso le famiglie non sanno che i loro figli o genitori si trovino lì e, una volta venuti a conoscenza, non possono neppure incontrarli”.
Nel frattempo le autorità venezuelana tacciono, ma la notizia sulle minacce ai detenuti giunge lo stesso a Lido Venezia: un’altra ferita sul cuore di Armanda, madre di Alberto, la cui legale Alessandra Ballerini, ha ribadito a Ilfattoquotidiano.it l’appello affinché “chi ha il potere di liberarlo si adoperi per riportarlo finalmente a casa”, perché “soltanto il suo rilascio e ritorno” potrà restituire la “pace” nel cuore dei suoi familiari.
La madre del cooperante è intervenuta nei giorni scorsi a Mestre, sottolineando che non si rassegna “all’idea di un altro Natale senza di lui” e, dopo più di tredici mesi di prigionia, in cui ad Alberto “è stato rubato un anno di vita”, rivolge un appello a “tutti gli italiani”, affinché si uniscano a una battaglia che “riguarda non soltanto un uomo, ma i diritti di tutti”. Armanda ha inoltre denunciato le opportunità perdute all’interno di una trattativa che appare decisamente regredita, almeno in termini intergovernativi: “Perché non è stata colta l’occasione della canonizzazione dei santi venezuelani Hernández e Rendiles?”, si interroga mentre ricorda la stretta di mano tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la ministra dell’Istruzione venezuelana, presente nella delegazione di Caracas.
E non giovano di certo le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che interpellato sulla situazione in Georgia ha colto l’occasione per prendersela con Caracas, sottolineando che la presenza di ambasciate non comporta la legittimazione di “regimi autoritari“. “Altrimenti chi andrebbe a fare visita a Trentini, di cui si parla tanto, ma non è l’unico detenuto a Caracas. In tutto abbiamo 12 prigionieri italiani e 300 mila connazionali residenti”, ha rivendicato il titolare della Farnesina, che non ha ancora provveduto a elevare ad ambasciatore l’incaricato di affari a Caracas, Giovanni Umberto De Vito. Tale scelta – lo sa bene il governo – aiuterebbe a sbloccare i rapporti Roma-Caracas in un momento di particolare difficoltà per il Venezuela, colpita dall’attuale blocco marittimo e aereo e dai recenti cyberattacchi alla statale petrolifera Pdvsa.
Altrettanto preoccupante l’abbandono dell’Alto commissario per i diritti umani, Volker Türk, che ha annunciato la fine delle operazioni Onu nel Paese, dove tuttora permangono un migliaio di prigionieri politici, tra cui anche l’italo-discendente Biagio Pilieri, privo di ogni comunicazione nel carcere dell’Helicoide.