Calcio

“Sono andato oltre: ho parlato con chi ha commesso errori e ho trovato degli amici, scoperto grandi storie”. Il calcio secondo David Luiz

Il difensore brasiliano a 38 anni ha scelto di diventare il leader del piccolo Pafos. La sua intervista a ilfattoquotidiano.it

Estroso, moderno e mai banale. Personaggio pop ancora prima che i social esistessero. Impossibile non riconoscerlo con quella folta chioma riccia. Molti lo hanno apprezzato in Premier League con il Chelsea. Altri con la maglia del suo Brasile in quel Mondiale in cui le sue lacrime – dopo uno storico 1-7 contro la Germania – fecero il giro del mondo. Oggi, a 38 anni, David Luiz sta vivendo la sua seconda giovinezza a Cipro. Leader carismatico e spirituale del piccolo (ma ambizioso) Pafos, il difensore racconta a ilfattoquotidiano.it il percorso di una carriera e di una vita vissuta tra il coraggio di osare e il rifugio della fede. Ancora oggi presente nel suo quotidiano. Etichettato dall’esterno, Luiz insegna che l’apparenza cambia i giudizi e la visione. Per un ragazzino che ha lasciato casa a 13 anni, oggi c’è l’esigenza di essere un esempio dentro e fuori dal campo. Con la stessa ambizione che lo ha sempre contraddistinto.

In più occasioni ha detto che la sua carriera si può paragonare a un film. Quante ne ha dovute passare prima di realizzare i suoi sogni?
Quando nasci in Brasile, nasci con una speranza, la speranza di avere una vita migliore, di aiutare la tua famiglia, di fare un giorno qualcosa che ami. E in Brasile, maschio o femmina che sia, vuoi diventare un calciatore. Quando ho lasciato la mia famiglia a 13 anni sono andato in un’altra città per provare a diventare calciatore. A 17 sono diventato professionista e a 18 ero già in Europa. La mia vita è cambiata completamente: dal non avere nulla mi sono ritrovato, dopo un mese, ad avere tutto. Ho potuto comprare la prima casa per la mia famiglia, ho detto ai miei genitori di lasciare il lavoro perché non ce n’era più bisogno. Benfica occupa un posto speciale nel mio cuore, perché è stato il mio primo tutto. Questa sensazione non la dimenticherò mai.

Per quello che è stato il tuo percorso di vita, quanto è stata importante la fede? E quanta è fondamentale tuttora?
Penso che senza fede non si possa vivere. La fede mi guida, mi incoraggia, mi crea una direzione nella vita e mi influenza nelle decisioni che devo prendere tutti i giorni. All’età di 13 anni è stata la fede a spingermi a lasciare casa per il mio obiettivo. E ha giocato anche un ruolo fondamentale per i miei genitori perché loro mi hanno detto: “Ok, puoi andare”. Ho lasciato la mia famiglia e sono stato due anni senza vederli. Ero solo un ragazzino. A quel tempo non c’era FaceTime, non c’era niente del genere. Parlavo con loro chiamando dal telefono pubblico una volta alla settimana e a volte solo una volta al mese. Ora sono padre anche io, ho due figlie. E capisco tutto quello che hanno passato i miei genitori. Chissà quante volte si sono chiesti: “Come sta? Mangia? Dorme? È sopravvissuto?” Li capisco benissimo: per loro era difficile vedere un figlio uscire di casa, per me no. Volevo solo essere libero, no? Dio mi ha reso una persona migliore.

La sua esuberanza a volte è stata fraintesa dall’esterno?
Non lo so. Penso che nella vita ci siano sempre persone a cui piaci, persone a cui non piaci. Quello che ho sempre cercato di fare è essere me stesso. La vita è così: le persone ti giudicheranno in base alle tue azioni. Ma ho capito che nella vita bisogna giudicare le persone cercando di capire perché fanno determinate cose. Quindi, se qualcuno commette un errore, non è l’errore che giudicherò. Cercherò di capire perché lo sta facendo. E a volte, cercando di scoprire perché lo fa, si scopre qualcosa di incredibile.

Come si sono comportate le persone con lei?
Credo che molte persone abbiano commesso un errore nei miei confronti. Ma io sono andato oltre: ho parlato con loro e ho trovato degli amici, scoperto grandi storie e ho capito perché erano così. Molto spesso, quando le persone ti attaccano, non è per te, è per loro.

Calcisticamente parlando è nato come centrocampista, poi è diventato un centrale di livello mondiale. Può considerarsi il primo vero “difensore moderno”?
Da piccolo ero il “numero 10”. Quando poi mi sono abbassato in difesa, all’epoca il difensore non poteva costruire il gioco da quella zona del campo. Il difensore doveva essere forte, spazzarla di testa, calciare fuori dallo stadio. E tutti erano contenti di questo. Io, forse, ero un difensore con uno stile nuovo che impostava dalla difesa proprio perché ragionavo ancora come un centrocampista. La gente non era ancora abituata a vedere quel tipo di difensore, capisci? Diceva: “No, lui non è un difensore”. Ho cercato di imparare da molti giocatori del passato e facevano proprio fatica a creare da dietro, ma perché non era nelle loro corde. E non era il loro compito.

E pensa che nel calcio di oggi ci sia un nuovo David Luiz?
Wow, penso che ce ne siano molti. E soprattutto migliori di me. Ora grazie alla tecnologia tutti possono migliorare. Ti dico questo: per vedere Maradona dovevi andare a Napoli, per vedere Pelé dovevi aspettare di vederlo nella tua città. Ora puoi fare tutto con un click. E così, grazie a questa rapidità d’informazione, tutti studiano e migliorano. Ora le squadre sono così simili. E vedi Paesi come Curaçao che si qualificano per il Mondiale: nessuno se lo aspettava, è una conseguenza di questo processo. Prendiamo come esempio anche il Marocco: nel 2022 ha fatto un lavoro straordinario. A volte si giudica una squadra solo perché è piccola o sconosciuta. È tutta una questione di apprendimento: con la tecnologia puoi fare tutto.