Mafie

La direttiva Ue sulle confische e la tentazione di neutralizzare quarant’anni di antimafia

Colpire le misure di prevenzione patrimoniali è un pallino di settori trasversali dell’opinione pubblica, che non hanno mai digerito il “processo al patrimonio”. E' questa l'occasione?

Mentre la Ue discute animatamente della confisca definitiva dei patrimoni russi e del loro ri-utilizzo per la difesa ucraina, un altro dibattito iniziato sotto i migliori auspici rischia di produrre tra distrazioni, incomprensioni e malizie interessate un grave arretramento della normativa italiana delle confische di prevenzione aventi ad oggetto ricchezze accumulate illecitamente. Colpire le misure di prevenzione patrimoniali, neutralizzarle, è un pallino di settori rilevanti e trasversali dell’opinione pubblica italiana, che non hanno mai digerito il “processo al patrimonio”, considerandolo al più il modo sgarbato (incostituzionale!) con il quale si punisca un soggetto a carico del quale non si riescano a trovare prove adeguate sul piano penale, come ho ripetutamente messo in evidenza su questo blog.

Costoro dopo aver trovato sponde politiche importanti oggi possono sperare in un alleato inatteso: la direttiva Ue su sequestri, confische e utilizzo dei beni della criminalità. Perché ogni direttiva, va interpretata e tradotta negli ordinamenti nazionali e nella interpretazione, come sappiamo, si nasconde spesso il diavolo.

La versione ufficiale, quella accreditata anche dalla relazione che la Commissione parlamentare antimafia sta per discutere e approvare, è ottimistica, naturalmente: plaude alla possibilità che i Paesi membri finalmente recepiscano la normativa di ispirazione italiana sulle misure di prevenzione patrimoniali, auspicando altresì che l’adozione della direttiva nell’ordinamento italiano sia l’occasione per migliorarlo (Ahi! Ahi! Primo campanello d’allarme), ma tra le righe si capisce che paradossalmente il rischio è esattamente l’opposto e cioè che siano le norme italiane ad omogenizzarsi ad una traduzione europea che mancando di centrare il punto, lungi dall’avvicinare l’Europa alla geniale invenzione di Cesare Terranova e Pio La Torre, rischi di allontanare l’Italia dal suo miglior passato anti mafia.

Seguendo il dibattito che trova spunto nello studio dell’impatto sulla normativa nazionale della direttiva (UE) 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 aprile 2024 riguardante il recupero e la confisca dei beni, cui gli Stati membri dovranno conformarsi entro il 23 novembre 2026, svoltosi nel II Comitato della Commissione parlamentare anti mafia presieduto dal leghista, on. Erik Umberto Pretto, si coglie quello che a me pare uno “strabismo” pericoloso, che potrebbe essere rivelatore di un disegno più vasto e profondo. Nelle misure di prevenzione patrimoniali infatti ci sono due attori: il soggetto indiziato di frequentazioni pericolose ed il patrimonio che si presume di origine illecita. Quale tra i due è il protagonista? Il patrimonio, non il soggetto indiziato.

E’ pacifico, per ora, che le misure di prevenzione patrimoniali non abbiano natura punitiva e nemmeno sanzionatoria del soggetto pericoloso socialmente, ma piuttosto “ripristinatoria” di una normalità economica inquinata dalla presenza di ricchezza illecite che hanno di per se stesse l’indubbio disvalore di sbilanciare ingiustamente la libera concorrenza nel mercato e di fornire potenzialmente un giacimento di prestigio e di risorse materiali spendibili dalle organizzazioni criminali.

Detto altrimenti e per l’orrore dei puristi della materia, il rapporto tra soggetto e patrimonio è simile a quello che può esserci tra il fumo d’arrosto che esce da un camino e l’arrosto medesimo che sfrigola qualche metro più sotto, infilzato nello spiedo. A chi interesserebbe più il fumo dell’arrosto?

La misura patrimoniale di prevenzione scatta nel momento in cui il soggetto, ritenuto socialmente pericoloso e per tanto individuato e sottoposto ad accertamenti finanziari, non possa dimostrare la lecita provenienza nella sua disponibilità del patrimonio che si assume formato illecitamente, cioè quando viene dimostrata la “sproporzione” tra il reddito del soggetto o la sua attività economica nota ed il valore del patrimonio di cui è in possesso. Il fine della misura di prevenzione patrimoniale, ribadisco, non è quello di punire o sanzionare il soggetto pericoloso ma quello di neutralizzare la distorsione economica provocata dalla libera circolazione di un potente veleno (la ricchezza illecitamente accumulata). Saranno i giudici di un eventuale processo penale che dovranno stabilire se il soggetto indiziato di essere pericoloso socialmente sia anche responsabile di condotte penalmente rilevanti, a causa delle quali andrà condannato.

Perché allora tutta questa attenzione al “fumo”?

Perché dibattere per ore e ore (anche in sede europea!) su quali siano gli indizi che rendono il soggetto pericoloso socialmente? Perché insistere sul rapporto temporale necessario tra la fase nella quale il soggetto sia stato effettivamente pericoloso ed il momento nel quale è venuto in possesso della ricchezza illecita? Forse perché, pur senza ammetterlo e anzi dicendo l’esatto contrario, chi interviene nel dibattito ha in mente di portare definitivamente le misure di prevenzione patrimoniali nell’alveo del processo penale. Annientando con il che quarant’anni di antimafia italiana.

Francamente proporrei di superare completamente questo dibattito e fissare un punto: la pericolosità sociale del soggetto sta nella sua incapacità di dimostrare la provenienza lecita del patrimonio di cui dispone. Punto, tutto il resto viene dal demonio.