
Uno studio della McGill University collega l’esposizione al particolato fine a biomarcatori immunitari associati a patologie come il lupus, rafforzando l’ipotesi di un ruolo chiave dell’ambiente nello sviluppo delle malattie autoimmuni.
Un nuovo studio ha messo in relazione l’esposizione alle particelle fini presenti nell’inquinamento atmosferico con alterazioni del sistema immunitario che spesso precedono lo sviluppo di malattie autoimmuni. I ricercatori della McGill University, analizzando dati provenienti dall’Ontario, in Canada, hanno rilevato che il particolato fine è associato a livelli più elevati di un biomarcatore legato a […]
Un nuovo studio ha messo in relazione l’esposizione alle particelle fini presenti nell’inquinamento atmosferico con alterazioni del sistema immunitario che spesso precedono lo sviluppo di malattie autoimmuni. I ricercatori della McGill University, analizzando dati provenienti dall’Ontario, in Canada, hanno rilevato che il particolato fine è associato a livelli più elevati di un biomarcatore legato a patologie autoimmuni, tra cui il lupus eritematoso sistemico. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Rheumatology.
“Queste evidenze aprono nuove prospettive per comprendere come l’inquinamento atmosferico possa innescare cambiamenti del sistema immunitario collegati alle malattie autoimmuni”, ha spiegato la professoressa Sasha Bernatsky, docente di Medicina presso la McGill University e membro del McGill Centre for Climate Change and Health. “Sappiamo che i fattori genetici hanno un ruolo, ma non sono sufficienti a spiegare l’intero quadro”.
Lo studio si inserisce in un filone di ricerche sempre più ampio che mostra come gli effetti dell’inquinamento atmosferico vadano ben oltre la salute cardiovascolare e respiratoria. Gli scienziati hanno analizzato campioni di sangue di oltre 3.500 partecipanti al progetto CanPath, un registro nazionale che include più di 400.000 canadesi provenienti dal Québec, dall’Ontario e da altre province. È emerso che livelli elevati di anticorpi antinucleo (ANA) erano più frequenti tra le persone residenti in aree con maggiori concentrazioni di particolato fine PM2.5.
Bernatsky ha inoltre sottolineato che l’inquinamento atmosferico non è un problema esclusivamente urbano. “Spesso viene associato al traffico delle città, ma anche le aree rurali e suburbane possono essere esposte a una scarsa qualità dell’aria”, ha osservato, citando il fumo degli incendi boschivi come uno dei possibili fattori determinanti.
In Canada esistono standard nazionali per il particolato PM2.5 e, secondo i ricercatori, tra i decisori politici sta crescendo la consapevolezza della necessità di ridurre l’esposizione. “Nonostante la qualità dell’aria in Canada sia generalmente migliore rispetto a molti altri Paesi, le evidenze scientifiche suggeriscono che non esista una soglia completamente sicura”, ha aggiunto Bernatsky.
Tuttavia, la vulnerabilità all’inquinamento non è uniforme. Le comunità a basso reddito vivono più spesso in prossimità di fonti industriali o di grandi arterie stradali e le malattie autoimmuni, come il lupus, colpiscono in modo sproporzionato le donne e le popolazioni non bianche, comprese quelle indigene. Già in uno studio del 2017 condotto in Québec, lo stesso gruppo di ricerca aveva dimostrato che la vicinanza a fonti industriali di polveri sottili è associata a un aumento dei marcatori ematici legati all’artrite reumatoide. Il prossimo studio del team si concentrerà sui dati della Columbia Britannica.
Gianmarco Pondrano Altavilla