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“Nell’ambiente c’erano convinzioni dure a morire. Tutto questo mi ha danneggiato, mi sono ammalato tantissime volte”: il rimpianto di Moser

L'ex ciclista e nipote di Francesco, oggi affermata voce di Eurosport, racconta le difficoltà che hanno compresso la sua carriera

In un’epoca in cui il ciclismo italiano fatica tremendamente, uno dei grandi rimpianti del decennio passato resta Moreno Moser. Oggi lui stesso non si nasconde: la sua vittoria alle Strade Bianche nel 2013 (finora unico italiano a riuscirci) sembrava la premessa a una carriera da campione. Così non è stato: “È successo che ho sbagliato tutto. Vedendo oggi come si allenano i corridori, come si alimentano, con un approccio molto più scientifico… Cambierei ogni cosa“, ha raccontato lo stesso Moser con la consueta franchezza e profondità in un’intervista alla Gazzetta dello Sport.

Nipote di Francesco Moser, oggi Moreno ha 35 anni, si è appena laureato allo IED di Milano in Design della Comunicazione e fa il commentatore tecnico per Eurosport. È bravo e gli piace molto: “La cosa che mi appassiona di più è trasmettere emozioni anche attraverso le parole”. La sua carriera da professionista è finita presto, nel 2019 a nemmeno 29 anni. Moreno Moser spiega perché, prima di tutto però zittendo alcuni pettegolezzi diffamanti: “In tanti mi hanno accusato: non ha voglia di allenarsi, lavora poco. O peggio: se andava così forte e poi non più, era per il doping. Amen: mi interessa pochissimo. Lascio parlare, chi vuole pensarlo continui pure, difficile fargli cambiare idea. Ho la coscienza più che pulita“.

Poi il racconto prosegue: “Da neopro’, nel 2012, ho vinto corse importanti battendo gente fortissima. E all’inizio dell’anno successivo, le Strade Bianche… Mi veniva tutto facile, sognavo di poter vincere qualsiasi cosa. Mi sentivo inarrestabile, quasi onnipotente”. Le pressioni aumentano subito, anche per via del cognome, ma non è questa la ragione delle successive difficoltà: “Le aspettative, che in qualche modo mi hanno anche schiacciato, sono state alimentate soprattutto dai miei risultati. Insomma, anche se mi fossi chiamato Mario Rossi…”, dice Moser.

E allora cosa è successo? “Ho sbagliato tutto”, dice appunto Moser. Che punta il dito sui metodi di allenamento e le credenze ancora diffuse in Italia: “Nell’ambiente c’erano convinzioni dure a morire: meno mangi meglio è, più arrivi a casa ‘finito’ al termine dell’allenamento, quasi in crisi in fame, meglio è… Tutto questo mi ha danneggiato. Mi ha spento”. Moser ricorda: “Mi sono ammalato tantissime volte, negli ultimi anni da atleta. Mononucleosi, citomegalovirus, toxoplasmosi. Ero vuoto, e sono abbastanza certo che dipendesse da quanto dicevo prima”.

Un grande rimpianto, anche se il ciclismo contemporaneo, in cui tutto è curato fino ai minimi particolari, porta con sé altri rischi: “Per i sacrifici che impone e per il dover essere al top ormai sempre, il ciclismo può essere alienante. Non è consentita alcuna sbavatura. Il quotidiano insegna: avete mai visto un ciclista in vacanza ad Ibiza a prendere il sole a petto nudo, magari su uno yacht?”, sottolinea ancora Moser.