
A Roma esordì, a Messina cominciò a farsi notare, poi a Udine si trasformò in regista e divento tra i migliori in Italia tanto da attirare le attenzioni del Real Madrid
“Palleggiavo, palleggiavo sempre, e il pallone non cadeva mai eh e allora i grandi sai cosa facevano? Mi portavano fuori dal mio quartiere di Palermo a sfidare gli altri a palleggiare: vincevo sempre io. Loro si giocavano le birre, a me davano una coca cola o un gelato, ma più che per le birre era un vanto avere nel quartiere il bambino più bravo e portarlo in giro”. Quel bambino era Gaetano D’Agostino, palermitano doc, nato il 3 giugno del 1982: undici giorni prima che iniziasse il mondiale in Spagna. “Se chiudo gli occhi il primo ricordo calcistico è proprio quello: i palleggi in giro per Palermo, ancora rivedo il bambino che ero”.
Poi quel ragazzino cresce, quei palleggi vengono notati dal Palermo e poi dalla Roma: “In giallorosso un periodo meraviglioso, c’erano Tempestilli, Maldera e poi Bruno Conti… gli devo tanto”. E quel tanto nasce da un “cazziatone” epico di Bruno: “Ero andato in ritiro con Zeman, tornai devastato, poi c’era il torneo di Osimo e feci molto male perché non mi reggevo in piedi. Bruno me ne disse di ogni davanti a tutti: ‘Non ti mando mai più, ti sei montato la testa’ mi fece e io provai a ribattere che il boemo mi aveva distrutto. ‘Non posso accettare queste parole da un ragazzo di sedici anni’ rispose Conti e io là per là ci rimasi male, oggi invece penso a quelle scene e lo ringrazio, aveva ragione”.
Tiene duro D’Agostino ed entra nel giro della prima squadra, diventa Campione d’Italia con Capello: “Una decina di panchine, una sola presenza: ti giravi da un lato e c’era Totti, dall’altro Batistuta e poi Samuel, Montella, Emerson, Aldair…eppure non ti escludevano, anzi, venivo coinvolto, ridevo con loro. Ovviamente parlavo pochissimo e con enorme rispetto, ma mi sentivo parte di quel gruppo: lì ho capito che avrei fatto il calciatore”.
L’emozione si percepisce quando parla di Bari, dove andrà come contropartita nell’affare Cassano: “Gli anni più belli della mia vita, la prima esperienza da solo: ho ancora tanti amici e devo tornare almeno una volta ogni due anni a Bari perché sono legatissimo a quella terra. E non fu facile eh: con Sciannimanico feci undici panchine consecutive senza mai vedere il campo, poi ne giocai 63 su 64 con la dieci sulle spalle. Bari la porto nel cuore”.
Da lì il ritorno alla Roma: “Primo anno con Capello molto bene, poi l’anno maledetto dei quattro allenatori, con Del Neri che anche per colpe non sue andò in confusione, io nel suo gioco per caratteristiche non potevo proprio starci e andai via per il mio bene, mio padre ha ancora un articolo conservato dal titolo “Si sono accorti che era un centrocampista”. Se ne sono accorti a Messina, da un giallorosso all’altro: “Che squadra: in casa nostra perdevano praticamente tutti, io feci sette o otto volte miglior giocatore Sky, e ancora oggi ho un ottimo rapporto con la tifoseria. Poi i Franza chiusero un po’ i rubinetti e si andò a peggiorare”.
Per Gaetano invece arriva il momento migliore della carriera: “A Udine trovo Malesani che in un momento di tristezza perché non giocavo mi dice di vedermi davanti alla difesa, io gli dico che quel ruolo non l’ho mai fatto e lui mi tiene 40 minuti extra dopo ogni allenamento a provare…e divento regista”. Non solo regista però, uno dei migliori registi in Italia in quel periodo: “Senza falsa modestia, credo che in quegli anni ero secondo soltanto a Pirlo”.
E questo porta l’interesse delle grandi: il Napoli, la Juventus con cui sembra fatta, addirittura il Real Madrid. “Mi sono fermato a pensare a me al Bernabeu con la maglia del Real…non vado oltre, ma mi sono detto che in fin dei conti se non fosse andata bene sarei rimasto nel giro delle grandi, come per altri, purtroppo non è andata così”. Perché non si conclude la trattativa con l’Udinese: “Mi dico che io in campo ho fatto tutto ciò che potevo, oggi sono maturo e non serbo rancore e non ho rabbia, però l’Udinese avrebbe potuto lasciarmi andare, avrebbero monetizzato abbastanza in fin dei conti”.
Il rimpianto vero però è uno: “Non aver firmato col Napoli: non ci pensai un minuto perché avevo l’offerta della Juventus ed era praticamente fatta, ma col senno di poi l’errore che ho fatto fu quello”. E poi c’è quel bambino che palleggia, a Palermo: “Se lo incontrassi ora? Gli direi vai amico mio, continua a palleggiare, divertiti”.