Società

Le vittime siamo noi arabi, quelli che chiamate terroristi mentre ci cacciate da casa nostra

La condizione degli arabi, vittime di conflitti e pregiudizi, dalle guerre in Palestina allo Yemen, tra sofferenza e accuse di vittimismo.

Perché dobbiamo pagare noi? Dalla Siria al Sudan; dalla Palestina allo Yemen: le vittime siamo noi. Siamo noi arabi, quelli che dite che sono i terroristi. Quelli per cui chiudete le porte di casa; per cui si fanno le campagne per vietare una misera moschea. Siamo noi, arabi, musulmani meglio, che dite che invadiamo i vostri paesi. Ma non è il nostro sangue a scorrere a Gaza o in Darfur. Non è quel colore rosso a scorrere nelle strade di Sana’a e che annaffia i fiori che tentano di crescere sotto le macerie delle città bombardate con le armi prodotte dalla vostra ricchezza, costruita su un cumulo di ossa?

Siamo noi, arabi – musulmani o anche cristiani, non fate più differenza – il problema. Scappiamo dalle nostre città, dai nostri paesi per sfuggire alla morte e cosa fate? Ci date dei vittimisti. Come questa lettera lanciata nel vuoto cosmico, che qualcuno considererà l’appello di un vittimista ma che, invece, non è altro che un grido contro l’ipocrisia di chi grida all’invasione senza comprendere che è lui stesso a cacciarci da casa nostra.

E quando perdiamo tutti, anche la nostra identità, allora ritorniamo visibili solo quando il sangue riempie le strade e i titoli di coda devono per forza riportare che qualcuno è morto. Dieci, cento persone. Una donna ammazzata e il cadavere lasciato per strada. Una bomba a Gaza, un palazzo distrutto e cento persone sotto le macerie: che importanza ha? Meglio gridare, cercando il posto che meritiamo in una storia scritta senza di noi ma con il sangue dei nostri morti.