
La difesa ha chiesto alla Corte di concedere alla sua assistita la seminfermità mentale, la derubricazione del reato a morte per conseguenza di abbandono e le attenuanti generiche: "Non è una persona normale, ma un vaso vuoto"
Alessia Pifferi ha lasciato per quasi sei giorni la figlia Diana “in condizioni disumane“, da sola nell’abitazione di via Parea a Milano, con soltanto una bottiglietta d’acqua e un biberon di latte a disposizione. La sostituta procuratrice generale di Milano, Lucilla Tontodonati, ricorda ai giudici dell’Assise d’appello di Milano che l’imputata, condannata all’ergastolo in prima grado per avere lasciato morire di stenti la figlia di 18 mesi, è capace di intendere e volere come accertato anche dalla seconda perizia disposta in secondo grado dai giudici. Per questo ha chiesto la conferma del fine pena mai in appello.
“La condotta che abbiamo di fronte è particolarmente raccapricciante, ma anche particolarmente difficile da accettare concettualmente – ha detto -, perché è una condotta omissiva. Non è una mamma che butta la figlia dalla finestra, ma che lascia una bambina soffrire per cinque giorni e mezzo nel caldo di luglio a Milano, senza aria condizionata e con le finestre chiuse”. Per la pg, c’è una “difficoltà nell’accettare l’idea che una persona capace di intendere e volere possa fare una cosa del genere. Pensiamo che chi l’ha fatto sia pazzo. Ma questo ormai lo dobbiamo eliminare dal nostro pensiero perché abbiamo ben due perizie d’ufficio, oltre alle consulenze di parte“.
“È una vicenda dolorosissima, con immagini che ci possiamo raffigurare pur non essendo stati nell’immediatezza del fatto a casa di Pifferi e della piccola Diana. Immagini atroci e sconvolgenti. Il primo e il secondo grado – ha osservato – hanno accertato che Pifferi è capace di intendere e volere. È una donna capace di intendere e volere ed è stata una madre capace di intendere e volere. Su questi assunti non si può più discutere”. E, in questo caso, “l’accertata imputabilità non può che coincidere con la colpevolezza”, data “la coscienza e la volontà del fatto illecito”. L’imputata, secondo l’accusa, è una persona “egocentrica, che tende a occuparsi delle proprie esigenze. Ha piena, totale, capacità di intendere e di volere e questo dovrebbe porre fine a tante questioni che hanno agitato questo processo.
“Quando si parla con Alessia Pifferi, ci si rende conto che è un vaso vuoto. Non riesce a ragionare – ha detto l’avvocata Alessia Pontenani – Tutti i test anche del primo grado ci dicono che Pifferi non ragiona. Non riesce a trovare soluzioni alternative. Non è una persona normale. Lei ragiona a modo suo. Nel momento in cui lascia la prima volta la bambina da sola con due biberon, arriva a casa e vede che sta bene”. La legale ha poi sottolineato che “nessuno si è mai preoccupato né di Alessia,né di Diana. Nessuno ha fatto nulla. Perché avrebbe dovuto uccidere la bambina? Poteva ucciderla in tutti in modi”.
“Richiede molto coraggio da parte vostra perché se prenderete una decisione diversa da quella richiesta della procura sarete sui giornali indicati come pazzi, ci vuole coraggio sia per difenderla che per giudicarla. Bisogna avere coraggio di andare contro l’opinione pubblica” ha detto la legale chiedendo alla Corte di concedere alla sua assistita la seminfermità mentale, la derubricazione del reato a morte per conseguenza di abbandono e le attenuanti generiche. “Io come avvocato difensore del ‘mostro’ sono tacciata di essere un mostro a mia volta. Forse Alessia Pifferi è un mostro, ma siamo sicuri che abbiamo voluto ucciderla volontariamente? No, io ne sono sicura. Alessia Pifferi è una persona buona, che non ce la fa ad essere cattiva perché per essere cattivi bisogna essere intelligenti. Vengo accusata di prendermela con la famiglia di Alessia, ma – aggiunge l’avvocata – è pacifico che questa donna sia stata lasciata a se stessa. Io sono figlia unica ma se avessi una sorella che partorisce in un water non andrei a dire tronfia in tv che non mi faceva andare in casa, non ci litigo per 200 euro dell’affitto in nero. Non c’è stato tessuto sociale, non c’è stato affetto, nessuno si è occupato di lei: certo lei è antipatica, racconta bugie, ma non è possibile che nessuno si rendesse conto. Alessia manda la foto delle piaghe di Diana alla madre, se io ricevuto una foto come questa non mando i pannolini da Crotone, ma alzo il telefono chiamo l’altra mia figlia e le dico di andare a vedere cosa sta succedendo. Nessuno ha fatto nulla”.
“Oggi mi aspetto che finisca e che Diana possa andare in pace, spero che confermino l’ergastolo, ma la condanna più grossa sarebbe che capisse che l’ha fatto lei, quando poteva lasciarla a noi”. Lo ha detto la sorella di Alessia Pifferi, Viviana, entrando in aula in tribunale a Milano, dove è prevista per oggi la sentenza d’appello. “Oggi potrebbe chiederci scusa, ma non la perdonerò. È talmente tanta la rabbia, ci ha trattato come colpevoli, quando in realtà è ben chiaro quello che ha fatto. Alessia non ha mai chiesto scusa alla vita che ha tolto alla sua bambina”, ha concluso.