
Pensiero critico, problem solving, comunicazione: le competenze umane sono la vera forza competitiva nel mondo del lavoro digitale
di Gian Carlo Cocco *
Quando si parla di lavoro, si enfatizza spesso la tecnologia, l’intelligenza artificiale o le competenze tecniche. Ma – come ho già evidenziato anche in questo blog – troppo spesso ci dimentichiamo di ciò che rende davvero efficace un’organizzazione: le cosiddette soft skill, ovvero le capacità comportamentali e relazionali. Questo capitale intangibile è il motore silenzioso che sostiene (o – se carente – affossa) il successo delle imprese.
Le soft skill sono competenze concrete e osservabili: pensiero critico, problem solving, capacità decisionale, flessibilità, organizzazione, comunicazione, gestione dei conflitti, lavoro di gruppo. Si tratta di comportamenti precisi che si possono allenare, migliorare e persino misurare. Ma cosa non sono? Non sono legate ai concetti di personalità e carattere; non sono valori (come l’onestà o il senso di responsabilità); non sono atteggiamenti come la cordialità, l’entusiasmo, la motivazione, l’assertività, l’empatia, il rispetto o l’autonomia, non sono comportamenti ultracomplessi (come le “leadership competencies” o i processi di pianificazione); non sono generiche espressioni di carattere psicologico e sociale (come interculturalità, intelligenza emotiva, agilità mentale, empowerment, saper ispirare i collaboratori ecc.); non si limitano, infine, al solo campo delle relazioni interpersonali, ma riguardano anche comportamenti di carattere operativo, cognitivo e gestionale.
Nonostante la loro centralità, molte figure professionali – sia nel settore pubblico che in quello privato – le ignorano. Perché? Proviamo a ipotizzare alcune possibili ragioni di questa trascuratezza: non hanno consapevolezza della loro importanza? Non ne conoscono i contenuti e le modalità di espressione? Ritengono che i risultati siano la conseguenza della fortuna e del caso e non delle risorse personali? Le confondono con un corredo di risorse personali troppo vasto e contraddittorio come, ad esempio, la personalità o il carattere? Ritengono di non avere il tempo di soffermarsi sulla consapevolezza e valorizzazione delle risorse personali? Sono distratti da continue urgenze? Sono affascinati e coinvolti solo dalla imperante digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale?
Le neuroscienze ci offrono una chiave per comprenderle meglio: il nostro cervello elabora le informazioni in quattro aree principali, che corrispondono a quattro famiglie di soft skill:
Cognitive: analisi, ragionamento, problem solving
Gestionali/innovative: decisione, iniziativa, flessibilità
Operative: organizzazione, controllo
Relazionali/emozionali: comunicazione, lavoro di squadra, gestione dei conflitti
Un esempio? La “negoziazione”. Non è un’abilità astratta, ma un comportamento articolato in tre fasi: pianificare la trattativa, gestirla con flessibilità e portarla a buon fine cercando il miglior accordo possibile.
Per valorizzare queste competenze occorrono strumenti seri. Uno su tutti: la metodologia di Assessment, nata a partire dal secondo dopoguerra per osservare i comportamenti in situazioni simulate e verificarne l’efficacia. Con la metodologia di Assessment è stato messo a punto un criterio rigoroso e sostanzialmente oggettivo (basato su simulazioni che riproducono la realtà) per individuare in anticipo il livello di espressione dei comportamenti che devono essere attuati in determinate circostanze. La metodologia di Assessment prende spunto dal “comportamentismo”, il quale abbandona la ricerca del “perché” si manifestino i comportamenti e rivolge l’attenzione sul “come” si esprimono, cioè al solo visibile processo di input e output delle azioni umane.
La metodologia di Assessment – oggi disponibile anche nella forma online, più flessibile, più rapida e meno costosa – si basa non solo sul vantaggio dell’osservazione reale dei comportamenti, ma anche su definizioni chiare, comprensibili e condivisibili, che risultino sostanzialmente inequivocabili in grado di descrivere fattispecie di comportamenti (quelle che vengono denominate soft skill) le quali possono essere verificate in contesti simulati, ma estremamente corrispondenti a quelli reali per permettere di capire gli spazi di miglioramento e agire di conseguenza. Possiamo anche definirli una sorta di rivalsa contro l’imperante digitalizzazione in quanto – utilizzando oggi proprio la tecnologia telematica – sono in grado di valorizzare i comportamenti messi in crisi dal mondo informatico.
Infine, il dato forse più sorprendente: secondo studi internazionali, l’85% del successo professionale dipende dalle soft skill. Eppure, ancora oggi, continuiamo a considerarle accessorie. È tempo di cambiare sguardo: nel mondo del lavoro che cambia, le competenze umane sono la vera forza competitiva. Saperle riconoscere, coltivare e valorizzare non è un vezzo da HR, ma una necessità per restare umani e competitivi e per non farsi travolgere dall’onda tecnologica impersonale.
*Presidente della Time to Mind SA, azienda internazionale che gestisce la piattaforma plurilingue www.timetomind.global che offre assessment online e percorsi di sviluppo per valorizzare le soft skill strategiche