Economia

Molto magra la proposta di legge di bilancio 2026: il peso dell’austerity Ue è completo

Basteranno le misure proposte per cominciare a ridurre la montagna del debito pubblico italiano in maniera equa e sostenibile? Difficile che questo avvenga

La proposta di legge di bilancio quest’anno sembra far litigare più del solito, e in maniera esagerata, i partiti della coalizione di destra. Ognuno vuole accontentare la sua piccola o grande corporazione elettorale (quale sia poi è difficile da capire), ma questa volta la rissa è più rumorosa. Lasciando perdere questa prospettiva interna, tipicamente politico-clientelare, quali sono le caratteristiche strutturali della penultima finanziaria di Meloni? È utile all’economia e alla società oppure no? Mi pare che si possano individuare due caratteristiche di fondo.

La prima è che si tratta di una proposta di bilancio molto magra, o se vogliamo usare un termine più positivo, snella. Le finanziarie precedenti potevano contare su sostanziosi incrementi del debito pubblico sull’onda della pandemia. Le legge di bilancio del 2024 ha portato in dote 16 miliardi di nuovo debito, e altri 8 quella dell’anno scorso. Quest’anno il nuovo disavanzo disponibile sarà meno di un miliardo. Da dove deriva questa ritrovata responsabilità fiscale e finanziaria? Non certo da un ravvedimento dei nostri politici ma piuttosto dalle nuove regole europee.

Per il 2026 trovano piena attuazione i criteri del nuovo Fiscal Compact che anche l’Italia, con il ministro Giorgetti, ha negoziato e firmato. Già l’anno scorso abbiamo raschiato il fondo del barile, cioè abbiamo utilizzato tutti gli spazi fiscali disponibili, e di conseguenza quest’anno il peso dell’austerity europea è completo. Una austerity inevitabile dato il gigantesco debito pubblico che ci portiamo sulle spalle. E così molto tristi, finanziariamente parlando, saranno anche le leggi di bilancio future di cui quella del 2026 è la matrice, inaugurando i sette anni biblici di vacche magre per avvicinarci alla mitica soglia europea di un debito pubblico al 60% del Pil.

Nonostante non ci siano nuove risorse da spartire qualcosa bisogna pur redistribuire, per accontentare gli appetiti elettorali. Ecco allora spiegato il gioco a somma zero governativo tra le varie poste di bilancio. Qui la strategia è sempre la solita. La legge di bilancio per il 2026 contiene una grossolana fragilità contabile, presente già nelle altre leggi di bilancio di Meloni, ma oggi ancora più evidente. Il problema finanziario, ma anche politico, consiste nel fatto che vengono finanziate riduzioni permanenti di tasse con entrate straordinarie o tagli straordinari, cioè non ripetibili negli anni a venire. Se lo stato fosse una normale società per azioni non so se l’organo di revisione approverebbe una proposta di bilancio così artificiosa, per usare un eufemismo.

Nella corretta pratica contabile le entrate straordinarie devono finanziare le uscite straordinarie, come ad esempio gli investimenti, altrimenti si crea un buco di bilancio per il futuro, esattamente come sta facendo il governo Meloni negli anni. Di conseguenza, finanziare con la nuova imposta una tantum sugli extra-profitti bancari – alla fine l’imposta è arrivata con buona pace dei forzisti – le riduzioni della seconda aliquota dell’Irpef per i lavoratori dipendenti è la pericolosa distorsione contabile di un governo che vive alla giornata. Si arriva addirittura a coprire la riduzione delle tasse con i fondi del Pnrr che l’anno prossimo di sicuro non ci saranno più. Peggio ancora, per ridurre l’Irpef vengono dirottati i fondi per la coesione sociale che dovrebbero servire per altri scopi.

Non mancano, poi, i soliti e pesanti tagli alla pubblica amministrazione, che l’anno prossimo dovranno essere riproposti. Quindi prima che politicamente, è contabilmente che la magra finanziaria del 2026 fa acqua da molte parti: perché illude milioni di contribuenti elettori distribuendo risorse che obiettivamente non ci sono.

La domanda generale che si pone oggi, come a ogni legge di bilancio peraltro, è la seguente: basteranno le misure proposte per cominciare a ridurre la montagna del debito pubblico italiano in maniera equa e sostenibile? Difficile che questo avvenga con una legge dai conti così fragili e demagogici. La politica dovrebbe prendersi le sue responsabilità e pensare a un serio recupero di risorse, a cominciare dai patrimoni: quelli edilizi, finanziari, imprenditoriali oppure generazionali. Consideriamo ad esempio questi ultimi. Gli stati normali ricavano dell’imposta di successione circa lo 0,5% del Pil, cioè 6-7 miliardi per l’Italia. Noi invece, in ragione delle riforme di Prodi e Berlusconi, solo qualche centinaio di milioni di euro. Teniamo presente che la generazione dei boomer è diventata patrimonialmente la più ricca di sempre e ora dovrebbe cominciare a restituire qualcosa. Questo buco di bilancio generazionale creato dalla politica andrebbe, almeno in parte, colmato al più presto.

Teoricamente ci sarebbe sempre da attingere alla lotta all’evasione fiscale e contributiva, ma su questo punto mi sento molto pessimista, anche se il governo ha messo, come al solito, qualche cifra che risulterà poi inevitabilmente farlocca. Se la sinistra a suo tempo ha fatto poco in questo campo, la destra ha dimostrato di andare in direzione contraria e quei 100 miliardi che si involano ogni anno con i governi stile Meloni non li acchiapperemo mai. La destra dovrebbe decidersi, a questo punto, a cambiare nella sua proposta di riforma costituzionale anche l’art. 53 della Costituzione, oramai di fatto liquidato dal suo populismo fiscale.