Ambiente

Transizione energetica a zero consumo di suolo, il mondo ambientalista si è spaccato

Polemiche dopo il piano presentato dalla coalizione TESS, secondo cui i grandi impianti industriali su aree agricole, selvatiche e montane sono caratterizzati da “scarsa efficienza produttiva, elevati costi economici e rilevanti impatti negativi sul paesaggio e sugli abitanti delle aree interne"

Un piano di transizione energetica a “consumo di suolo zero”, fondato sull’impiego diffuso del solo fotovoltaico su superfici già artificializzate (tetti, aree dismesse, cave, infrastrutture) e sulla promozione delle comunità energetiche (CER). Nessuno spazio, invece, all’invasione dei progetti di impianti industriali di produzione e stoccaggio di energia da fonti rinnovabili “che non presentano vantaggi né ambientali né economici”. E chiusura anche verso l’eolico perché implica ingente e irreversibile consumo di suolo. È la proposta (e la polemica) portata avanti dalla coalizione ambientale interregionale TESS (Transizione Energetica Senza Speculazione), formata da associazioni e comitati territoriali, che proprio di recente ha presentato il “Piano Nazionale di Transizione energetica a Zero consumo di suolo”, concepito su istanza del “Movimento Sindaci Italiani per una Transizione Energetica Rispettosa dei Territori”. Il documento, redatto con il supporto, la supervisione e la consulenza di esperti, tra cui il dirigente Ispra Michele Munafò e Massimo Rovai, agronomo presso UniPi e presidente di Slow Food Toscana, analizza criticamente le attuali strategie di decarbonizzazione in Italia, evidenziando le contraddizioni di un modello basato su grandi impianti eolici e fotovoltaici industriali su aree agricole, selvatiche e montane.

Tali impianti, sostenuti da ingenti incentivi pubblici, risultano, secondo TESS, caratterizzati “da scarsa efficienza produttiva, elevati costi economici e rilevanti impatti negativi sul paesaggio, sull’agricoltura e sugli abitanti delle aree interne”, come elevato consumo di suolo (17.907 ettari occupati da impianti fotovoltaici), diboscamento, alterazione degli habitat e degli ecosistemi, rischio idrogeologico, rumori e vibrazioni, industrializzazioni del paesaggio naturale.

Secondo la Coalizione, che si basa su dati ISPRA, gli obiettivi UE 2030 di produzione energetica supplementare da fonti rinnovabili sarebbero ampiamente raggiungibili utilizzando anche solo il 70% delle coperture dei 400.000 capannoni industriali esistenti in Italia, il 71% dei quali si trova a nord, dove si concentra il fabbisogno energetico. A fine 2030 si raggiungerebbero 97 GWp superando largamente gli obiettivi sia del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima o PNIEC (55 GWp aggiuntivi) che del Piano per La Transizione Ecologica o PTE (100 GW rinnovabili totali) senza ricorso a fotovoltaico a terra. Ai capannoni industriali si aggiungerebbero tutte le altre superfici già utilizzabili, con un calcolo estremamente cauto basato sui dati ISPRA, si arriverebbe a 191, 4GW. “Insomma, non possiamo correre il rischio di perdere biodiversità a causa dell’eolico industriale. Soprattutto bisogna impedire l’industrializzazione irreversibile di territori incontaminati di grande valore ecosistemico come gli Appennini”, concludono gli autori del Rapporto.

Coordinamento Free: impianti necessari per la transizione

Ma una simile transizione è possibile? Non del tutto, secondo alcune importanti associazione del mondo ambientalista e delle rinnovabili, che sono critici verso questa tesi. “Certo”, afferma Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento Free, “è corretto privilegiare tetti, aree industriali dismesse, cave o discariche, aree già privilegiate dall’attuale normativa nazionale con procedure autorizzative semplificate. Tuttavia, immaginare una transizione energetica basata solo su queste superfici è irrealistico. L’Italia deve aumentare rapidamente la produzione rinnovabile se vuole rispettare gli obiettivi europei e ridurre la dipendenza da gas e petrolio. Escludere gli impianti di scala industriale, anche su aree agricole ben selezionate, significherebbe rallentare la transizione, mantenendo alti i costi energetici e le emissioni”.

Anche l’associazione Italia Solare, nella voce di Cecilia Bergamasco, sostiene la centralità degli impianti a terra. “La valutazione fatta dal rapporto TESS a nostro avviso non è coerente con gli obiettivi di sviluppo delle rinnovabili del PNIEC. Non si riusciranno mai a raggiungere gli obiettivi senza gli impianti a terra. Nello studio tengono in considerazione – giustamente – cave e aree dismesse, ma quando parlano di tetti non considerano che molti sono inutilizzabili, sia per la struttura del tetto che non sempre è idonea a sorreggere il peso di un impianto fotovoltaico, sia perché spesso ci sono dei vincoli di proprietà e ostacoli burocratici per l’utilizzo della superficie del tetto. Inoltre, certamente le Comunità energetico Rinnovabili o CER sono un modello da sviluppare, ma non saranno mai sufficienti per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e a costi competitivi”. “Noi”, continua Bergamasco, “siamo tra i paesi UE che pagano l’energia elettrica a un prezzo nettamente maggiore rispetto alla media europea. Ovviamente gli impianti vanno fatti con tutti i sacri crismi per ridurre al massimo gli impatti ambientali: il fatto che non siano ancora state individuate le aree idonee, in questo senso è un grosso problema”.

Impianti che non hanno bisogno di sussidi

Sempre Attilio Piattelli ci tiene a precisare che “definire speculativa la realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici su scala industriale significa confondere l’iniziativa economica privata con l’abuso”. Inoltre, non è vero che, come sostiene il documento, l’Italia destinerà fino al 2030 circa 160 miliardi di euro in incentivi a impianti eolici e fotovoltaici, in particolare ai grandi impianti. “Una cifra infondata”, afferma Piattelli. “Oggi i grandi impianti eolici e fotovoltaici non hanno bisogno di sussidi: al contrario, contribuiscono a ridurre il prezzo dell’energia elettrica, perché queste tecnologie producono energia a costi inferiori del 40-45% rispetto al prezzo medio dell’energia elettrica che abbiamo avuto in Italia nel 2024 (108 €/MWh), rendendo il sistema Paese più competitivo e favorendo risparmi per i cittadini”.

Parchi eolici: mostri o luoghi da visitare?

Infine, anche per Legambiente le pale “eoliche non sono ecomostri, ma impianti importanti utili al paese per produrre energia sostenibile”. L’associazione snocciola alcuni dati: ad agosto 2025 l’eolico è arrivato a quota 13.356 MW di potenza installata, di cui 685 realizzati nel 2024 e 337 nel 2025, in grado di produrre, nel 2024, complessivamente 22.068 GWh/a di energia elettrica, pari al fabbisogno di circa 8,1 milioni di famiglie. Un numero che negli ultimi vent’anni è cresciuto passando da 1.131 MW del 2004 ai numeri attuali, permettendo a questa tecnologia di produrre il 17,2% del totale prodotto da fonti rinnovabili e di fornire un contributo rispetto ai consumi complessivi italiani pari al 7%. L’eolico, conclude l’associazione può diventare persino un attrattore turistico. A raccontarlo sono i 29 impianti selezionati da Legambiente, di cui 7 nel 2025, al centro della quarta edizione della guida turistica “Parchi del Vento”, realizzata dall’associazione ambientalista. Una visione e una proposta ovviamente contestata dalla Coalizione TESS. Le cui posizioni divergono radicalmente da buona parte del mondo delle rinnovabili. Ed è assai difficile, ad oggi, che si riesca a trovare una convergenza tra due visioni drasticamente distanti.