
Il rientro di centinaia di migliaia di persone nel Nord della Striscia ha dato il via alle ricerche. La Difesa civile ha estratto più di 300 corpi dall'inizio del cessate il fuoco
Il cessate il fuoco consente a centinaia di migliaia di palestinesi sfollati un difficile di ritorno a casa. Ma dopo due anni di conflitto la Gaza è una distesa di macerie (in tutta la Striscia è stato distrutto o gravemente danneggiato l’80 per cento degli edifici) che nascondono infinite insidie, ma soprattutto i corpi di migliaia di vittime. Quasi 10 mila secondo le stime più recenti delle autorità palestinesi, almeno 12mila era stato detto nei mesi scorsi dalle Nazioni Unite, che già un anno fa stimavano in almeno tre anni il tempo necessario per estrarre tutti i corpi. Intanto chi è rientrato ha iniziato la dolorosa (e pericolosa) ricerca.
L’agenzia di Difesa civile, la protezione civile a Gaza, ha confermato di aver estratto più di 300 corpi dall’inizio del cessate il fuoco, col bilancio delle vittime che dall’inizio del conflitto è arrivato a 67.869 morti e oltre 170 mila sono i feriti. La ricerca dei resti viene eseguita con mezzi estremamente limitati, utilizzando picconi, mazze o più semplicemente a mani nude a causa della mancanza di attrezzature idonee. Il compito è immane, alimentato dalla disperazione di chi cerca ogni frammento che possa chiarire il destino dei dispersi, né tutti i corpi sono intatti. Secondo le linee guida dei gruppi di lavoro partecipati anche dagli organismi Onu, in caso di ritrovamento o sospetto di resti, ogni altra operazione deve interrompersi immediatamente, l’area deve essere isolata e le autorità competenti, come la Difesa Civile, devono essere informate. Se si sospetta la presenza di ordigni esplosivi vicino ai resti umani, è richiesto l’intervento del personale EOD (Explosive Ordnance Disposal) per consentire il recupero in sicurezza. Nel 2024, gli esperti delle Nazioni Unite in materia di sminamento avevano stimato che circa 7.500 tonnellate di ordigni inesplosi potrebbero essere sparsi in tutta la Striscia e che potrebbero servire 14 anni per bonificarli.
Ma con gli strumenti attualmente disponibili, per estrarre tutti i corpi ci vorranno anni, ha avvertito l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA). Per ridurre i tempi servirebbe l’accesso a macchinari pesanti, come bulldozer, escavatori, ma anche personale, che secondo le autorità locali potrebbero consentire il recupero entro l’anno. La mappatura della devastazione fatta dagli organismi Onu parla di 61 milioni di tonnellate di macerie e dei decenni che ci vorranno solo per rimuoverle e gestirle. Sotto quelle macerie, le temperature dei mesi caldi potrebbero aver accelerato la decomposizione, aumentando il rischio potenziale di diffusione di malattie e complicando ulteriormente la gestione sanitaria della crisi. Come se non bastasse, il lavoro è esposto ad amianto, metalli pesanti e altri materiali pericolosi presenti nei detriti, di cui almeno il 15 per cento potrebbe essere contaminato. Come sono stati contaminato il suolo e l’acqua. Il collasso dell’infrastruttura di trattamento delle acque reflue, la distruzione dei sistemi di condotte e l’affidamento a pozzi neri per i servizi igienico-sanitari hanno contaminato la falda che fornisce la maggior parte dell’acqua di Gaza. Scarsità di acqua potabile e pessime condizioni igienico-sanitarie sono direttamente correlate al rischio di epidemie. Tra maggio e settembre è stato segnalato un aumento dei casi di malattie infettive, con oltre 1.300 casi sospetti di meningite, per lo più virale.