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Elezioni in Camerun, il risultato è scontato ma la resistenza esterna può diventare pressione internazionale

“A’ pizza de fango der Camerun!” Ve la ricordate? Era una gag di Cinzia Leone nei panni della signorina Vaccaroni che nel 2013, ai tempi della crisi economica, ironizzava sul fatto che ci svalutassimo anche rispetto alla “pizza di fango” del Camerun.

Il Camerun è grande come la Svezia, ha una popolazione pari a circa metà di quella italiana (28 milioni di abitanti) e di questi circa 10 milioni vivono sotto la soglia di povertà (1,24 dollari giorno). La cosiddetta economia informale (leggi: lavoro nero, piccoli lavori alla giornata) rappresenta oltre il 90% dell’occupazione totale. Oltre il 62% della popolazione del Camerun ha meno di 25 anni.

Bene, è in questo scenario che domenica prossima 12 ottobre i camerunensi saranno chiamati a votare per eleggere il presidente della Repubblica, con l’attuale presidente Paul Biya – al potere dal 1982 – che si presenta per l’ottavo mandato consecutivo forte di un apparato che ha saputo blindare il potere per oltre quattro decenni. Ah dimenticavo, Paul Biya ha 92 anni: perfetto dunque per rappresentare voci e istanze di circa 18 milioni di ragazzi della Gen Z camerunense! No?

E’ una partita truccata, infatti le elezioni che si svolgeranno in un clima di tensione crescente, indipendentemente dall’esito, saranno un passaggio storico: il vero nodo non è il nome del vincitore, ma la tenuta del Paese. Anche questa elezione non romperà gli schemi politici consolidati in oltre quarant’anni di regno di Biya: agli occhi del mondo dovranno sembrare un processo libero e trasparente. Ma mentre i candidati realmente competitivi sono stati estromessi, restano in corsa quelli che hanno accettato di partecipare a un gioco truccato.

Quest’estate 53 sostenitori dell’opposizione sono stati arrestati davanti al Consiglio Costituzionale di Yaoundé, durante le udienze di appello contro alcune decisioni del consiglio elettorale. Le tensioni si sono intensificate nelle ultime settimane e diversi eventi pubblici organizzati dai partiti di opposizione sono stati vietati.

Ma se in patria si nutrono poche speranze per un vero cambiamento, è fuori dai confini che si alza il vento. La diaspora internazionale – in Italia i camerunensi sono circa 17mila residenti soprattutto tra Lombardia ed Emilia-Romagna – si mobilita per contrastare il regime di Yaoundé. E lo sta facendo con mezzi nuovi: social media, campagne di pressione, manifestazioni davanti alle ambasciate, raccolte fondi e mobilitazione politica. “Non possiamo votare ma possiamo far rumore e il rumore, se ben diretto, può diventare pressione internazionale”, ha dichiarato a Jeune Afrique un attivista del collettivo Diaspora Debout.

In un Paese dove l’alternanza democratica è rimasta un miraggio per oltre quarant’anni, la resistenza esterna diventa uno spazio di possibilità. E il 12 ottobre, anche se il risultato sembra già scritto, sarà comunque un giorno da osservare con grande attenzione.