
Possiamo discutere su come evolvono le parole, ma non è ragionevole cancellare il significato comune di 'hamburger', 'salsiccia', 'latte' per comodità commerciale
La mia avversione verso i veggie burger l’avevo già espressa cinque anni fa. Le ragioni sono diverse.
1. Linguistica. Se chiamiamo sedia una sedia che serve per sedersi, è innaturale chiamare “sedia” un ammasso di chiodi: su una sedia di chiodi solo un fachiro si può sedere comodamente. Così è per le parole “burger”, “salsiccia”, “latte”, “uova”: la maggioranza delle persone per salsiccia intende un preparato di carne insaccata e speziata; per latte intende il prodotto animale. Possiamo discutere su come evolvono le parole, ma non è ragionevole cancellare il significato comune per comodità commerciale. Non lasciamo che anche queste battaglie lessicali dividano ulteriormente il campo progressista (ieri il Pd si è diviso sul voto al Parlamento europeo).
2. Salute e ingredienti. Cinque anni fa segnalavo che alcuni prodotti come i burger “vegetali” contengono decine o centinaia di ingredienti e additivi (Beyond Meat e affini). Dal punto di vista nutrizionale, un alimento poco processato e con pochi ingredienti è in genere preferibile a uno altamente trasformato. Le calorie non sono l’unico parametro: le proteine animali hanno un profilo diverso e, soprattutto, molti prodotti vegetali ultra-processati non sostituiscono in nessun modo il beneficio di una dieta ricca di legumi, cereali integrali, verdure fresche. Pasta e fagioli, per esempio, è un piatto molto più sano rispetto a un hamburger industriale e, spesso, anche rispetto a un veggie burger.
3. Effetto sulla cultura alimentare. La proliferazione di prodotti che scimmiottano la carne rischia di consolidare abitudini di consumo sbagliate: invece di promuovere un’educazione alimentare reale (più legumi, cereali integrali, verdure fresche, meno prodotti processati), si favorisce la ricerca della “sostituzione facile” — trovare un prodotto che riproduca la cotoletta o l’hamburger, evitando il lavoro di cambiare gusti e abitudini. Questo non aiuta la diffusione autentica di diete basate su vegetali.
Io non sono vegetariano, sono onnivoro, ma sono consapevole dei rischi legati a un consumo massiccio di proteine animali: ci sono molte ricerche che associano diete molto ricche di carne e insaccati a rischi maggiori di alcune malattie, incluso il cancro (vedi gli interventi e gli studi citati da medici come Franco Berrino e molte altre ricerche epidemiologiche). Per questo consumo carne e insaccati in modo frugale — di fatto una volta alla settimana — e cerco di privilegiare prodotti provenienti da allevamenti non intensivi.
Conclusione: non demonizzo chi sceglie prodotti vegetali, ma invito a non illudersi che i “veggie burger” siano automaticamente salutari o educativi. Impegniamoci per una vera educazione alimentare: riduciamo il consumo di carne e derivati, preferiamo prodotti di qualità e pratiche d’allevamento sostenibili, e aumentiamo il consumo di legumi, cereali integrali e verdure fresche piuttosto che cercare soluzioni facili e ultraprocessate. Informatevi e scegliete consapevolmente.
Alla fine non vengono messi al bando dalla Ue i veggie burger, chi vuole continuare a mangiarseli potrà farlo. Liberi di scegliere ma senza fraintendimenti lessicali. Se permettete io ho il nome perfetto “poltiglia” .