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“Stadi sì, ma dove sono gli ospedali?”. I giovani africani reclamano futuro: chi saprà ascoltare?

Marocco e Madagascar non si somigliano. Ma oggi si specchiano. Due scenari diversi, un filo comune: la generazione più connessa, più fragile e più arrabbiata del continente

Non è più tempo di sussurri. L’Africa urla. Da Antananarivo a Rabat, il continente non si lamenta: si solleva. E non lo fa con le mani giunte, ma con i pugni serrati e gli occhi spalancati. La Generazione Z africana non è una gioventù buona solo da instagrammare. Non si accontenta di un futuro: lo reclama come diritto, lo esige.

Nel cuore del Madagascar, la capitale in questi giorni è diventata un campo di battaglia. Non per ideologie, ma per sopravvivenza. Decine di migliaia di giovani, tra i 16 e i 20 anni, hanno invaso le strade come un fiume che rompe gli argini. Blackout elettrici, interruzioni d’acqua, ospedali fantasma: la capitale Antananarivo è un teatro di assenze. E loro, i ragazzi, hanno deciso di incendiare le assenze. Coprifuoco violato, copertoni in fiamme, stazioni della funivia – simboli di uno sviluppo da cartolina – ridotte in cenere. “Non possiamo vivere senza elettricità, non possiamo studiare senza luce, non possiamo lavorare senza acqua”, gridano, e il loro grido è più potente di qualsiasi slogan.
La risposta del potere? Lacrimogeni, proiettili di gomma, repressione. Ma non basta. Il presidente Rajoelina ha dovuto sciogliere il governo, travolto da una rabbia che non si spegne con l’ordine pubblico.

In Marocco la scintilla è diversa, ma il fuoco è lo stesso. Ospedali carenti, scuole che sembrano trincee, disoccupazione giovanile al 36%. La Generazione Z marocchina si è data un nome: GenZ212, il numero 212 deriva dal prefisso telefonico del Marocco. Si è organizzata online, ha marciato per le strade, ha gridato “Libertà, dignità, giustizia sociale” – le stesse parole che nel 2011 promettevano una nuova era. Ma oggi quelle parole sono ferite aperte. Uno dei bersagli principali della violenta protesta di questi giorni è la scelta del governo di destinare miliardi alla costruzione di infrastrutture sportive in vista della Coppa d’Africa 2025 e dei Mondiali di calcio 2030, mentre scuole e ospedali rimangono allo stremo. Lo slogan più gridato nelle piazze è diventato virale: “Stadi sì, ma dove sono gli ospedali?”.

Antananarivo e Rabat non si somigliano. Ma oggi si specchiano. Due scenari diversi, un filo comune: la generazione più connessa, più fragile e più arrabbiata del continente.

L’Africa è il continente più giovane del mondo. Età media sotto i 20 anni. Ma i suoi sistemi politici ed economici arrancano, si trascinano come vecchi stanchi. E i giovani? Non aspettano più.

E allora la domanda è: chi avrà il coraggio di ascoltare la rabbia giovanile prima che diventi uno tsunami? Perché la Generazione Z africana non è il futuro. È il presente che bussa alla porta del potere con un piede già dentro.