
A Modena è iniziato il processo al tenente colonnello Giampaolo Cati per le accuse di molestie, violenza privata e abuso di autorità. I fatti sarebbero avvenuti tra il 2019 e il 2022. Undici i sottoposti che hanno denunciato gli abusi
“Mi ha rovinato l’esistenza, mi usava, mi offendeva”. A parlare così è una delle persone che accusano il tenente colonello Giampaolo Cati che risponde di molestie, violenza privata e abuso di autorità. Sono stati undici i sottoposti, tra cui quattro donne, a denunciarlo nel 2021. Tutti, all’epoca, prestavano servizio al Centro ippico militare dell’Accademia di Modena. Per l’accusa tutti i reati sarebbero stati commessi durante le sue funzioni, di insegnante di equitazione, all’interno della struttura.
Durante il processo le vittime hanno esposto la loro versione dei fatti. Tra loro c’è V.: “Cati mi ha rovinato l’esistenza, mi usava, mi offendeva. Mi chiedeva di spazzare e diceva guarda che scopatrice, mi fotografava, commentava in continuazione il mio aspetto fisico, il mio sedere. Diceva ti sdrumo, ti faccio mangiare la sabbia. E io obbedivo perché vivevo il terrore psicologico, avevo paura di essere punita, sorridevo quasi a comando… Sì colonnello, sta bene colonnello… lo assecondavo. Ma quando uscivo, piangevo”. All’epoca dei fatti la ragazza aveva 25 anni. Sognava una carriera militare, ma per Cati “era solo una ragazza immagine, quando c’era un evento mi metteva alla porta d’ingresso del Centro per far tornare la gente. E così l’entusiasmo si è trasformato presto in una profonda delusione e alla fine desideravo solo andarmene. Sono così tornata al mio paese e non ho più voluto saperne della vita militare”.
V. ha anche ricordato episodi umilianti legati a compiti e mansioni non necessarie: “Non c’era la necessità di pulire i genitali dei cavalli ma lui me lo faceva fare anche a mani nude…”. Un’altra teste ha raccontato di altri episodi di abuso: “Ci obbligava la mattina a ripulire il selciato, mettendo i sassolini nei sacchetti del diametro di uno, due centimetri”. I riferimenti sulle forme del corpo erano continui. Donne, ma anche uomini, venivano paragonati a cavalli, insultati e vessati. Il sergente maggiore L.M. ha raccontato di come “Cati urlava, bestemmiava, insultava. Io soffrivo di insonnia e tachicardia. Una cosa però voglio dire: questo non è l’esercito, l’esercito non è Cati”.
Un ruolo chiave nella vicenda è stato quello del colonnello Giuseppe Manzi, comandante dell’accademia. Come ha raccontato V.: “Andavo dallo psicoterapeuta e lui mi vedeva stare male. Un giorno mi ha chiesto il perché e ho capito che mi avrebbe potuto aiutare. Gli ho parlato”. Da quel momento il colonnello è intervenuto, e dopo V. si sono fatti avanti anche gli altri.