Ambiente

Il dirigente del Cnr Armaroli: “Un governo che si dice sovranista dovrebbe ridurre la dipendenza energetica dall’estero”

Secondo il chimico, comprare gas americano, il più caro e inquinante al mondo, è la scelta più assurda: "È insensato fare terrorismo sui pannelli fotovoltaici cinesi al silicio, che non contengono neppure materiali rari: una volta installati, producono elettricità con sole italiano per trent’anni"

“Un governo che si dice sovranista dovrebbe ridurre la dipendenza energetica dall’estero. Questo significa puntare sulle rinnovabili: sole e vento ne abbiamo in abbondanza, gas e petrolio non li avremo mai. Eppure le scelte della politica spesso riflettono l’inconsapevolezza generale. L’energia è fondamentale: senza energia non si fa nulla, neppure si mangia”. È sconsolato quando parla di politica e scelte energetiche Nicola Armaroli, chimico, dirigente del CNR, direttore di Sapere, autore del libro Energia per l’Astronave Terra – Chiamata Finale (Zanichelli). “Poiché i politici spesso non hanno sufficienti competenze sul complesso tema dell’energia, la soluzione è navigare a vista – aggiunge – oppure fare scelte assurde come comprare gas americano, il più caro e inquinante al mondo, o pensare di sfruttare il fantomatico gas italiano, che di fatto non esiste. Siamo spesso in mano a persone che al mattino possono dire una cosa e al pomeriggio l’opposto”. Armaroli interverrà il 4 ottobre al Festival Pianeta Terra, diretto da Stefano Mancuso e organizzato da Editori Laterza, a Lucca dal 2 al 5 ottobre (titolo di quest’anno: Sistemi instabili).

Perché non si riesce a uscire da un dibattito ideologico sull’energia?

Tante chiacchiere, pochi fatti: così crollano competitività industriale e potere d’acquisto. C’è chi propone il nucleare come soluzione ai costi dell’energia. Ma, tra i possibili motivi per investirci, quello economico è proprio l’ultimo: l’investimento sarebbe insostenibile. Inoltre, sempre in chiave di sovranismo, significherebbe dipendere da tecnologie di altri Paesi. E soprattutto i tempi di realizzazione, 15-20 anni, renderebbero il nucleare già superato rispetto a rinnovabili, accumuli e reti intelligenti che stanno crescendo a livelli esponenziali. È come sperare di vincere i 10000 metri alle Olimpiadi, quando gli avversari hanno già sei giri di vantaggio.

Il quadro italiano riflette tuttavia una tendenza mondiale. Ovvero, un cambio di narrazione sull’energia. Quando e come è avvenuto?

Negli ultimi dodici-diciotto mesi il clima è cambiato. Avevamo dato per assodate la transizione ecologica ed energetica, a seguito dello shock del Covid e della guerra in Ucraina. Eravamo convinti che bisognasse cambiare strada; poi a un certo punto il racconto è stato ribaltato. Cosa è successo? Il più grande conglomerato industriale di sempre – oil&gas più automotive – ha reagito con veemenza. Sanno che la transizione non si fermerà, ma vogliono rallentarla, perché implica un radicale cambiamento del loro modello economico e industriale, che non hanno fretta di affrontare. Il loro obiettivo è spostare la transizione dal 2050 al 2080-2090. La punta di diamante di questa controffensiva è l’amministrazione Trump, con il segretario all’energia Chris Wright che viene dal mondo del fossile e del nucleare. Tra i grandi finanziatori della campagna di Trump c’erano persone di quel mondo. C’era anche Musk, politicamente affine ma industrialmente su tutt’altra linea: usati i suoi soldi, lo hanno cacciato.

L’America torna al passato, la Cina guarda al futuro?

Si delinea una divisione netta. Da una parte i petrol-Stati – Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita – per i quali la fine degli idrocarburi è un incubo economico (gli Usa avrebbero tutte le risorse per la transizione, ma la lobby fossile resta dominante). Dall’altra l’elettro-Stato Cina, povero di idrocarburi e orientato al loro superamento con l’elettricità. Oggi l’elettrificazione degli usi finali in Cina è vicina al 30% e oltre metà delle auto vendute è elettrificata. Vent’anni fa la Cina ha scelto di non cadere nella trappola fossile in cui l’Europa è caduta da decenni. Non sorprende che abbia setacciato il mondo per assicurarsi le materie prime per i convertitori e gli accumulatori di flussi rinnovabili: è parte di un piano strategico per dominare il nuovo sistema energetico. Intanto gli Stati Uniti si arroccano sul vecchio modello petrol-fossile, ampliando la voragine tecnologica e industriale già aperta con la Cina.

E l’Europa?

Da un punto di vista “geologico” l’Europa è nella stessa condizione della Cina: non ha idrocarburi a sufficienza, avrebbe quindi tutto l’interesse a spingere al massimo sull’elettrificazione. Eppure prevale l’idea che i nostri interessi economici siano tutelati dagli Stati Uniti, quando in realtà converrebbe perseguire la stessa strategia cinese, sviluppando in Europa la manifattura delle rinnovabili. Restare legati agli idrocarburi significa condannarsi al suicidio economico: non li abbiamo mai avuti in quantità significative e non li avremo mai.

Che cosa bisognerebbe fare, allora?

Pochissimi paesi – tra cui la Gran Bretagna – dispongono di organismi scientifici stabili che guidano i governi nelle politiche che richiedono competenze tecnico-scientifiche. A Londra non si cambia idea sulla crisi climatica a ogni cambio di ministro. In Italia, d’altro canto, resta irrisolto un nodo enorme: il costo dell’energia per famiglie e imprese. C’è un solo modo per ridurre le bollette: aumentare le rinnovabili e investire nelle reti elettriche. In emergenza si parte dalle priorità. Passare alla mobilità elettrica o sostituire il riscaldamento a metano con pompe di calore non è una questione ideologica. Il 34% delle emissioni serra nel nostro Paese proviene da riscaldamento domestico e automobili, mentre l’inquinamento atmosferico provoca oltre 60.000 morti l’anno. Siamo in piena emergenza: queste due tecnologie sono già disponibili e rappresentano gli strumenti immediati per cominciare ad affrontarla.

E tagliare petrolio e gas.

La nostra ossessione deve essere ridurre i consumi di petrolio e gas. Non solo per ragioni ambientali, ma anche perché non possiamo più permetterci che, da un momento all’altro, il prezzo del gas quadruplichi per eventi imprevisti. È insensato fare terrorismo sui pannelli fotovoltaici cinesi al silicio, che non contengono neppure materiali rari: una volta installati, producono elettricità con sole italiano per trent’anni e, a fine vita, potranno essere riciclati per realizzare una nuova generazione di pannelli made in Italy. Ricordiamoci quello che accadde quando furono rese obbligatorie le marmitte catalitiche: all’inizio furono osteggiate perché costose e contenenti metalli rarissimi come il platino. Negli ultimi 40 anni hanno salvato milioni di vite e oggi non esiste automobile al mondo che ne sia priva. Tentare di bloccare il progresso tecnologico è insensato. Oltre che una fatica inutile.