Ambiente

Bologna, Roma e Milano, una prece: tra affitti brevi, studentati e poche case popolari sta morendo il diritto all’abitare

L'indagine del collettivo Gessi White sulla trasformazione delle tre città: mancano piani di edilizia residenziale pubblica e di sostenibilità ambientale e misure legislative per combattere l'overtourism

Metropoli trasformate in depliant pubblicitari, da vendere a turisti, “transitanti”, investitori. Poleis diventate luoghi di consumo in cui la rendita può dispiegarsi liberamente, “con quartieri e strade invasi da locali tutti uguali, dehors sui marciapiedi e smart lock degli affitti brevi appese ai pali della luce”. Città progressivamente cedute dalle amministrazioni comunali a sviluppatori immobiliari, per trasformarle e metterle a rendita. Persino i proprietari di case, denuncia Città in affitto. Un requiem per il diritto all’abitare (Laterza) primo libro del collettivo Gessi White, figlia della testata di giornalismo d’inchiesta IrpiMedia, diventano inquilini, perché i quartieri si trasformano, con gli spazi pubblici sequestrati da privati, diventati “apubblici”, “un furto non solo di spazi ma anche di cultura”.

Città in affitto nasce dal progetto #CitiesForRent, una serie di approfondimenti sullo stato delle metropoli europee sviluppata dallo Urban Journalism Network, di cui fa parte anche IrpiMedia. E racconta la storia, emblematica, delle trasformazioni di alcuni quartieri di tre “città in affitto”: Bologna, Roma, Milano.

Bologna, il fenomeno degli studenti senzatetto

A Bologna per quasi mille anni le due anime della città, quella universitaria e quella opulenta, hanno saputo convivere, perché gli studenti erano visti anche come un’opportunità economica. Questo equilibrio, spiegano gli autori, si è rotto negli anni Duemila quando appunto sono arrivati i turisti. “Ecco allora che Bologna si trasforma per intercettare le loro esigenze, migliaia di case si trasformano in affitti brevi ed esplode così una crisi abitativa mai sperimentata in una città che fino ad allora era riuscita ad accogliere tutti”, spiegano. D’altronde, gli studenti nel 2023 erano 70.000 a fronte di 3,5 milioni di turisti, su una popolazione di 390.000 abitanti. L’overtourism spinge verso l’alto i prezzi dei beni, acuisce i processi di sfruttamento della manodopera poco specializzata, crea un’insana competizione per accedere alle stesse strutture cittadine: è la turistificazione di Bologna.

Gli studenti, spiega il libro, sono ancora un valore aggiunto per la città – un fuorisede spende in media 887 euro al mese – ma in proporzione i ricavi dal turismo sono ancora più alti. Così calano gli iscritti da fuori regione – una stanza ormai costa 506 euro al mese in media contro i 330 di dieci anni prima – e aumentano, fenomeno drammatico, gli studenti senzatetto. Al mercato nero si affianca quello legale degli affitti in case private, alla “soluzione” sulla quale lo Stato sta investendo, attraverso i fondi del Pnrr: gli studentati. Che però hanno prezzi proibitivi e arrivano a 1300 euro per un posto letto.

Più che riqualificazione, insomma, è una vera e propria gentrificazione, definizione che include il tema del conflitti e l’espulsione di molti. Proprio il tema degli studentati è centrale nel libro, perché emblematico della terza via inaugurata dal Pnrr: la collaborazione tra pubblico e privato. Il Pnrr investe 1,2 miliardi per 60.000 posti letto, con un vincolo di destinazione d’uso di soli 12 anni. Il pubblico ne esce sempre più debole.

Roma, il Comune ha svenduto le sue case e ore deve ricomprarle

Rispetto alla Capitale, il libro si focalizza su alcuni fenomeni che caratterizzano la città in particolare. Anzitutto, la questione della vendita degli enti previdenziali, i cui alloggi venivano messi in affitto a canoni agevolati. Questo è durato fino agli anni Novanta, quando lo Stato ha cominciato un lungo processo di dismissione, che ancora continua. Con il secondo governo Berlusconi ne sono state privatizzate 27.250 e poi 53.241. Il patrimonio degli enti è passato da 11,5 miliardi del 2013 a 2,6 del 2023. Ma la vendita in massa di migliaia di case si è tradotto nella disperazione di molti inquilini – 150-200.00 erano le persone con un tetto a equo canone – specie i meno fortunati non in grado di acquistare.

Nel frattempo a Roma gli affitti sono aumentati del 20%. I privati non hanno più interesse ad affittare alle famiglie e preferiscono i turisti. Tra il 2019 e il 2024 l’offerta di immobili sul mercato degli affitti di lunga durata è diminuita dell’80%, mentre nel marzo 2025 gli appartamenti su Airbnb hanno oltrepassato quota 25.000.

E poi c’è il drammatico capitolo delle case popolari a Roma: “Un miraggio, un privilegio, un incubo, un girone dell’inferno dantesco”. Oggi ci sono a Roma oltre 19.000 famiglie in graduatoria (10.000 nuclei sono sotto sfratto e 20.000 persone sono senza dimora), ma ogni anno aumentano di 1000 a fronte di 300 che la ottengono. L’Ater (Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale) non può costruire nuove case, può solo acquistarle. Il Piano Casa approvato dal Comune ha messo in cantiere risorse per acquistare alloggi popolari ma ne servirebbero comunque 20.000 in più.

Il paradosso, notano gli autori, è che le case il Comune le aveva ma ne ha vendute 15.000 dal 2021. Ma riacquistare case oggi significa pagarle molto di più, e i costi si scaricano sul cittadino, rendendo impossibile l’housing sociale. Nel frattempo, mancano i soldi per fare manutenzione di chi ha una casa popolare, con esiti drammatici, specie per le famiglie con bambini.

Milano, “il paradiso edilizio”

Infine Milano. Nel 2019 i residenti sul territorio erano 1,41 milioni, ridotti nel 2023 a 1,374. “Chi rimane si deve affannare a vivere in una città ostile, che pone sempre maggiori ostacoli”, dicono gli autori, mentre i ‘moneylander’, gli ultraricchi sono arrivati alla cifra di 4500. La nuova Milano è una città sempre più ereditocratica, in cui vivere è una questione di lignaggio: i prezzi di acquisto sono saliti del 41% e i canoni di locazione del 22%, mentre redditi e retribuzioni solo del 12% e del 13%.

Il Modello Milano, ora al centro delle inchieste, si incarna nella gestione pubblico-privato, che ha reso la città un “paradiso edilizio”, che si contende un numero ristretto di contribuenti e investitori. “Ma il dilemma, politico prima che giudiziario, è qui: questi interventi restituiscono pezzi di città, oppure li sottraggono?”, domanda il collettivo. Le diseguaglianze in città aumentano, il denaro speso dal pubblico non ha alcun effetto sul contenimento delle sperequazioni tra ricchi e poveri, ma diventa solo un catalizzare di nuovi grandi capitali privati.

L’inchiesta del collettivo, in conclusione, è un requiem in memoria del pubblico. Ma, anche, un’invocazione della pianificazione pubblica. Tantissimi, infatti, sono i grandi assenti: un piano di edilizia residenziale pubblica che tenga conto della proletarizzazione del ceto medio e della precarizzazione delle esistenze. Una regolamentazione ferrea sugli affitti brevi. Servizi essenziali con cui annullare le distanze siderali tra centro e periferie. Un piano di sostenibilità ambientale delle città. Mancano, concludono gli autori, politiche del lavoro, sostegno al reddito, infine una vera visione industriale del Paese.