
Cresce la mobilitazione globale contro il genocidio a Gaza
Mentre lo scenario della guerra civile europea tra Russia e Ucraina sembra progressivamente scivolare sul piano inclinato della guerra globale (come esplicitato anche dal presidente Mattarella che ha evocato lo spettro della prima guerra mondiale), con i governi europei che si agitano come “sonnambuli” sull’orlo dell’abisso, per citare il celebre saggio di Cristopher Clark sulle cause dello scoppio della “grande guerra”, con politiche di escalation e riarmo anziché di de-escalation e disarmo – in piena dissonanza cognitiva tra l’invocare genericamente la pace e il preparare concretamente la guerra – rispetto allo scenario del genocidio di Gaza si è messa in moto, invece, una forza plurale e nonviolenta dal basso, coerente tra i mezzi e i fini, che sta mettendo seriamente in difficoltà il governo israeliano ed i governi complici. Come quello italiano.
Sumud significa resilienza, tenacia, solidarietà: è la forza dei palestinesi che resistono da decenni all’occupazione israeliana, della quale il genocidio e la deportazione sembrano voler essere la soluzione finale. E’ il potere dei senza potere, la forza della nonviolenza. L’unica forza che può mettere in difficoltà lo stato più militarista del pianeta, sostenuto dalla complicità degli Usa e dei suoi vassalli. Nessun attacco militare ha potuto sconfiggere Israele: non Hamas, la cui azione terrorista è stata il pretesto per scatenare il genocidio, non l’Iran ne le milizie affiliate come gli Houthi o Hezbollah.
Ma la Sumud Flotilla, cinquanta barche a vela disarmate che trasportano umanità solidale, sembrano mettere in difficoltà il governo Netanyahu che l’ha presa ripetutamente di mira con colpi di avvertimento, in acque internazionali e in stile mafioso, per convincere gli equipaggi internazionali a desistere e tornare indietro.
Questi attacchi di Israele ad una missione nonviolenta non sono segno di forza ma di debolezza: mentre scrivo, la Flotilla ha scelto di continuare la navigazione nell’intento di rompere il blocco di Gaza, nonostante siano stati rivolti a loro – non alla prepotenza di Israele! – autorevoli richiami alla responsabilità. Non so come finirà: se fosse una flotta militare il suo destino sarebbe segnato, ma il suo essere disarmata è disarmante e spiazzante per chi conosce solo la logica reattiva dell’occhio per occhio dente per dente, moltiplicata all’infinito.
E’ la stessa forza nonviolenta e disarmante che agisce dall’interno della società israeliana, con i giovanissimi obiettori ed obiettrici di coscienza che danno alle fiamme nelle piazze le cartoline di chiamata alle armi, aprendo contraddizioni in un contesto che educa alla venerazione del servizio militare fin da bambini, e con le centinaia di disertori tra i riservisti che rifiutano di diventare autori del genocidio per conto di Netanyahu (oltre alle decine che si sono suicidati).
“La gente mi contattava ogni singolo giorno dopo che abbiamo bruciato gli avvisi”, ha detto Yona Roseman, 19 anni, uno dei partecipanti al gesti pubblici di disobbedienza civile, in un’intervista a +972 Magazine (8 settembre 2025): “Non so se questo da solo possa portare a un cambiamento, ma anche un solo soldato in meno che prende parte al genocidio è un passo positivo”. Ogni non collaborazione con il male è preziosa.
E poi c’è la forza nonviolenta delle opinioni pubbliche dei paesi occidentali, come quella italiana che ha deciso di non rimanere spettatrice, ma di agire il potere dei senza potere con inaspettate partecipazioni agli scioperi, alle manifestazioni, ai boicottaggi, ai presidi permanenti, con tantissimi giovani e giovanissimi, e le disobbedienza dei portuali – come quelli di Ravenna e di Genova che impediscono di caricare container di armi, munizioni ed esplosivi sulle navi dirette ad Israele – e sta spiazzando il quadro politico e sindacale, che adesso è pronto a dichiarare lo sciopero generale unitario (almeno tra Cgil e sindacati di base) qualora la Sumud Flotilla fosse attaccata pesantemente.
Una mobilitazione spontanea di massa inedita negli ultimi due decenni, che va sostenuta e accompagnata con grande attenzione: ogni gesto di violenza delle piazze, per quanto piccolo, si trasforma in pretesto per la sua criminalizzazione collettiva. Anche una vetrina rotta è troppo e chi lo fa è un utile idiota, o un provocatore, a servizio della distorsione narrativa del governo e dei suoi media. Ma quando una vetrina rotta viene trattata mediaticamente come fosse un genocidio e un genocidio come fosse una vetrina rotta, siamo difronte non alla disonestà, ma alla criminalità intellettuale. Eppure non si può fare un passo indietro rispetto alla forza rigorosa della nonviolenza.
Dunque, mentre le mobilitazioni per la Palestina si allargano a macchia d’olio, è necessario, con la stessa forza dal basso, che il potere dei senza potere s’impegni a fermare, boicottare, impedire anche il precipitare nella Terza guerra mondiale: le due lotte devono diventare lo stesso impegno. Ogni lotta nonviolenta, diceva Mohandas K. Gandhi, “passa per la prova di cinque tappe: l’indifferenza, il ridicolo, la calunnia, la repressione, il rispetto”. Non a caso il 2 ottobre, sua data di nascita, è la Giornata internazionale della nonviolenza, ma adesso tocca a noi metterla in pratica.