Scuola

La riforma dell’accesso a Medicina è un pasticcio giuridico: così si crea il paradosso dei ‘promossi non ammessi’

La riforma è un pasticcio giuridico e sortisce l'effetto di scontentare non solo i docenti ma anche gli studenti

È in corso in tutto il paese il triste esperimento della riforma dell’accesso ai Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Medicina Veterinaria. La riforma è un pasticcio giuridico varato in tutta fretta e con scarsa competenza, per pure ragioni demagogiche, e sortisce l’effetto di scontentare non solo i docenti ma anche gli studenti che dovevano essere i destinatari del “favore”.

I difetti della riforma sono troppi e troppo grandi per essere discussi in un solo post; mi limiterò pertanto ad analizzarne uno solo: l’uso dell’esame di profitto come prova concorsuale. La riforma prevede un semestre (di due mesi e mezzo) al quale tutti gli studenti che lo desiderano possono iscriversi per seguire tre corsi erogati su programmi definiti dal Ministero, al termine dei quali sono previsti tre esami scritti a quiz o “a completamento” (completare una frase con una parola mancante) preparati dal Ministero (quindi non dai docenti che erogano i corsi) e uguali su tutto il territorio nazionale. La graduatoria per l’ammissione al proseguimento degli studi si basa sui voti di questi tre esami.

Ignorando per ora il problema della qualità dei corsi erogati da un solo docente a molte centinaia di studenti (io ne ho oltre 1.700), parte in aula e parte a casa propria in collegamento telematico, e concentrandoci soltanto sulla modalità di selezione, perché la riforma non abolisce il numero chiuso, osserviamo che l’uso degli esami come prove concorsuali crea una figura di studente nuova, mai esistita nel passato: il “promosso non ammesso”. Il “promosso non ammesso” è lo studente che ha superato i tre esami con voti anche buoni, ma che non può proseguire gli studi intrapresi perché è superato in graduatoria da studenti con voti più alti.

I “promossi non ammmessi” con sufficiente disponibilità economica si uniranno e faranno ricorso al Tar, sostenendo giustamente che la loro condizione li certifica come capaci e meritevoli ai sensi dell’art. 34 della Costituzione e pertanto gli conferisce il diritto di proseguire nello studio intrapreso. I “promossi non ammessi” privi di disponibilità economica si rassegnino, perché la Costituzione non prevede borse di studio finalizzate a sostenere spese legali.

Il maldestro tentativo di usare degli esami come prove concorsuali crea inoltre un secondo paradosso: trasferisce sull’università la responsabilità della preparazione dei candidati al concorso di ammissione. Lo scopo del corso non è più quello di portare il maggior numero possibile di studenti ad un buon livello di preparazione mettendoli in grado di superare l’esame, ma quello di porre le basi di una selezione al termine della quale saranno scartati e dirottati su altri corsi i tre quarti o i quattro quinti dei candidati.

Mai nel passato, anche in epoche in cui l’università era più severa e selettiva, si è pensato che lo scopo dei corsi fosse la selezione: lo scopo dei corsi è sempre stato la preparazione degli studenti, e la selezione è sempre stata considerata un insuccesso del sistema formativo oltre che dello studente, seppure un insuccesso inevitabile per ragioni statistiche.

Con la riforma Bernini la selezione diventa invece e inevitabilmente lo scopo dei corsi del cosiddetto semestre aperto. Con molti colleghi abbiamo presentato un ricorso al Tar contro la riforma: purtroppo lo abbiamo potuto fare presentando soltanto le ragioni dei docenti, in quanto non abbiamo titolo per rappresentare quelle degli studenti.