
Oceaniche manifestazioni in tutta Italia per dire basta al genocidio a Gaza. L'appello dei docenti per uno sciopero generale unitario
Una giornata indimenticabile, quella del 22 settembre. Decine di migliaia di ragazze e ragazzi, donne e uomini hanno sfilato in tutte le città italiane, in ogni piccolo centro, per dire il proprio basta al genocidio che si sta perpetrando a Gaza. Per rispondere all’arroganza del potere esercitata da Israele, con la sua corte di sudditi acquiescenti che, pur di non compromettere alleanze e – soprattutto – affari, hanno scelto la strada del silenzio complice. E per dare una prova di umanità al nostro governo, il cui viceministro Salvini (adoratore della X Mas, cantore del Vannacci pensiero, estemporaneo proselito di Kirk) ha potuto esaltare impunemente il “diritto alla difesa” dello stato di Israele.
Numeri importantissimi, quelli di lavoratori e lavoratrici in sciopero: “E’ stato un vero, enorme, clamoroso sciopero generale”, titola la prima pagina del sito dell’Usb, promotrice dello sciopero insieme ad alcuni altri sindacati di base (CUB, SGB, ADL, USI-CIT, con alcune sigle che hanno aderito successivamente). E hanno ragione: le manifestazioni sono state oceaniche, come da tempo non si vedeva. “Con la Palestina nel cuore. Buon vento alla Global Sumud Flotilla”, chiudeva il comunicato di indizione della protesta. Un sentimento e un invito che ha unito un popolo di figli, padri e madri.
Consistentissima la presenza degli studenti e delle studentesse: non solo “Cambiare rotta” e “Osa”, ma tante e tanti che hanno scelto (talvolta per la prima volta) la strada della piazza: noi docenti e loro, i nostri studenti, sfilare insieme per la prima volta, come – ancora – non si vedeva da tempo. Questo accordo, questa unità, questa armonia rappresentano in maniera eloquente quanto lo strazio di un popolo, quello palestinese, e di una terra – Gaza – che i potenti hanno deciso di radere al suolo, sia diventato elemento di imprescindibile sentire comune, collante di democrazia e partecipazione.
Le piazze del 22 settembre hanno concretizzato in maniera inequivocabile quello che da tempo in tanti pensiamo: lo scollamento totale tra i governi e i popoli. E lo hanno fatto in modo consapevole e responsabile, mentre – come sempre accade – i media mainstream hanno enfatizzato solo i rari scontri che ci sono stati, dimenticando per lo più il resto; e dando la solita stura alla aggressività di Meloni &C.
La tragedia di Gaza e il genocidio dei palestinesi non sono ovviamente rimasti lettera morta nel mondo della scuola. Il merito di un’iniziativa concreta e costante va soprattutto ad alcuni gruppi organizzati di docenti: La scuola per la pace di Torino, Docenti per Gaza, l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’Università. La doverosa centralità di una catastrofe umanitaria, che interpella direttamente il luogo della formazione e dell’educazione alla pace, e il genocidio che si perpetra anche attraverso la distruzione delle scuole e delle università, del patrimonio culturale e dell’eccidio di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, la cui esistenza deve essere stroncata – come varie, scioccanti affermazioni israeliane confermano, raccontando la deumanizzazione dell’avversario – hanno spinto un gruppo di docenti e dirigenti scolastici, rappresentativi delle lotte che nel corso degli ultimi lustri hanno attraversato il mondo della scuola, provenienti da tante regioni e città italiane, a lanciare un appello (online a partire dal 23 settembre ma già ricevuto dai destinatari; potrà essere sottoscritto da chiunque, non solo da rappresentanti del mondo della scuola) ai segretari o portavoce nazionali dei sindacati, confederali e di base.
Eliminare giovani vite, traumatizzarle o scempiarle definitivamente, distruggere le scuole sono i segnali – non solo sul piano concreto, ma anche su quello simbolico – della volontà di annullare qualsiasi futuro. L’idea dell’appello, dunque, è quella che solo un grande movimento popolare – unito e coeso – possa ostacolare il percorso genocida; e che solo la cessazione di tutti i rapporti con Israele, primi tra tutti quelli commerciali e militari, può rappresentare un ostacolo reale ad esso. Gli unici in grado di unire lavoratrici e lavoratori di ogni settore, comparto, attività produttiva, servizio, studentesse e studenti, cittadine e cittadini sono i sindacati. La richiesta è quella di uno sciopero generale unitario di tutte le sigle, che paralizzi il Paese e induca il governo italiano a dismettere il proprio silenzio complice – quando non le affermazioni e le azioni di concreta collaborazione – con Israele.
La reazione del governo israeliano al riconoscimento dello stato palestinese da parte di alcune nazioni è stata la minaccia di annettere la Cisgiordania, mentre il ministro degli Esteri del governo italiano parla di “regalo ad Hamas”. E’ quindi evidente che nessun atto diplomatico potrà distogliere il governo di Netanyahu dal suo intento: la distruzione di Gaza e, possibilmente, di ciò che resta della Palestina. Il popolo israeliano deve avvertire sulla propria pelle le conseguenze della propria inazione – a parte alcune coraggiose e tenaci minoranze -, il governo quelle della propria furia genocida e della propria arroganza. E nessun buon senso e principio di umanità attraverserà la mente di un governo, quello italiano, né dei massimi alleati di Israele, gli Usa di Trump; è il momento di fare sentire da che parte stiamo noi e da quale continuano, imperterriti e ritenendosi inamovibili, a stare loro.
Non è tempo di parole, è necessario passare ai fatti. Il sacrificio di un’altra giornata di salario val bene la possibilità di portare avanti questo tentativo. Ciò su cui puntiamo è il senso di responsabilità di tutte le forze sindacali, conferito dalla funzione che la Costituzione italiana attribuisce loro.
Gaza muore; abbiamo assistito per due anni (divisi, seppure coinvolti) al suo lento e atroce agonizzare. In questa fase indicibile, apocalittica e distruttiva dell’intera storia umana, steccati, incomprensioni e preclusioni sono semplicemente inaccettabili.