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La mia chiacchierata con una pediatra palestinese risale a vent’anni fa, ma è ancora attualissima

Questa frase da allora la porto sempre con me: “E’ insopportabile vedere bambini per strada pagare le conseguenze degli errori dei genitori"

“Chiunque va negli ospedali palestinesi, anche se sta bene esce morto. Non ci sono apparecchiature, medicine, materiale per il pronto soccorso, non c’è niente di niente perché è un ospedale palestinese e non ci sono soldi per tenerlo in vita. In Palestina è meglio non ammalarsi. Eppure i malati sono tanti. Questa maledetta guerra ci sta annientando e non c’è una sola ragione sensata che la giustifichi.”

Conobbi Nua nel marzo 2005, durante uno dei miei viaggi in Israele e Palestina. Nua è una pediatra palestinese che lavora in un ambulatorio messo in piedi da suore francesi a Gerusalemme. Ogni mattina si reca a piedi, dalla sua casa a Gerusalemme est, fino all’ambulatorio dove si occupa di visitare e curare i bambini poveri. Naturalmente i pazienti sono tutti palestinesi. Con Nua ci incontriamo, grazie a un comune amico, in quella città che gli israeliani chiamano Yerushalayim, “città della pace”, e gli arabi Al-Quds, “la santa”.

Viviamo in un posto magnifico. Non riuscirei mai ad andarmene di qui. Amo questo Paese, anche se è difficile resistere perché è come abitare in una grande prigione. La pace, a qualunque costo, è la cosa migliore per tutti. Il popolo non ama la guerra, nemmeno quello ebraico. Nessuno.

Questa è la Terra Santa e come può una terra santa continuare a vedere scorrere sangue? Basta con questa guerra! Dobbiamo isolare i malvagi. Spegnere i focolai di odio prima che ci contaminino tutti e in maniera irreparabile. Non è giusto che ci siano morti. Che senso ha morire in strada mentre si mangia un gelato o mentre si passeggia o si guarda un tramonto? Non ha senso. Ma davvero si crede che possa esistere un Dio che ama vedere scorrere sull’asfalto il sangue di tutti i figli? Sarebbe un Dio ben misero. Se davvero nell’altro vedessimo Dio, o semplicemente noi stessi, non ci sarebbe più la guerra. Non è Dio che ha fatto la guerra, ma gli esseri umani. Quanto sangue è scorso nel nome di Dio.

Io come madre amo tutti i bambini, sia palestinesi sia non. Sento tutti i bambini come figli miei. Dobbiamo pensare al loro avvenire perché solo così miglioreremo questo Paese. Dobbiamo tornare a capire cosa vuol dire amare e amarci perché la libertà non può che nascere da un gesto d’amore. Per il resto non so cosa sia la libertà.

Per chi ha la carta d’identità della Cisgiordania o della Striscia di Gaza, a causa dei checkpoint, è difficilissimo entrare a Betlemme. A volte ci fanno aspettare anche due o tre ore sotto il sole. Ci hanno obbligato a vivere in questa situazione e non possiamo fare altro che accettarla. Non abbiamo il potere di cambiare le cose e dobbiamo accettare quello che c’è. L’unico permesso che abbiamo è quello di tentare di sopravvivere.

Non mi fa piacere circolare per le strade con i militari in agguato a chiedermi cosa faccio lì, perché sono lì, o di esibire il documento. Sono un numero e posso passare i controlli solo se la mia carta d’identità è di un colore e non di un altro.

In questa terra l’odio è la normalità. Al checkpoint i soldati non ti dicono: “Per favore, potrebbe darmi la sua carta d’identità?” ma “Dammi la carta d’identità!” Solo raramente qualcuno ti augura buona giornata e allora ci si sente in modo diverso: ci si sente rispettati.

A volte mi chiedo se in una situazione del genere è possibile ancora sentirsi liberi: sì, ma solo se ignori tutto quello che ti circonda. C’è un vecchio proverbio palestinese che dice: ignora e vivrai. Dimenticare il futuro e vivere solo il presente.

A volte guardo mio figlio negli occhi e non so cosa dirgli: conosce già tutto della guerra. L’odio è una malattia adulta capace di contagiare anche il mondo dei bambini; e non c’è vaccino. Mio figlio vive in questa realtà e non posso far nulla per nascondergliela. La situazione non la vede soltanto in televisione, ma la vive in prima persona. Il dolore degli altri per lui è la quotidianità e non un telegiornale. Nel 2002 aveva due anni, c’era il coprifuoco e gli israeliani minacciavano di uccidere chiunque si trovasse per strada. Restammo due o tre giorni chiusi in casa senza nulla da mangiare o da bere. Niente pane, latte. A volte anche l’acqua non c’era perché ce la chiudevano. Barricati in casa sentivamo solo spari e il cigolio dei carri armati in movimento.

Uno di quei giorni alcuni soldati israeliani sfondarono la porta di casa nostra ed entrarono. Ci costrinsero a uscire. Sospinti dai soldati arrivammo davanti all’ingresso dove vidi la porta di casa divelta e al suo posto un grosso carro armato.

Spero si raggiunga la pace, perché io non riesco più a dormire la notte. Come si fa a restare lucidi pensando che qualcuno in giro ti vuole ammazzare? Spero che mio figlio abbia un buon futuro e quello che voglio per lui lo voglio per tutti i bambini. E’ insopportabile vedere bambini per strada pagare le conseguenze degli errori dei genitori.

Quest’ultima frase da allora la porto sempre con me: “E’ insopportabile vedere bambini per strada pagare le conseguenze degli errori dei genitori.” Ieri, come oggi.