
Il presidente Usa sostiene che Nuova Delhi stia indirettamente finanziando il conflitto in Ucraina, ma il Paese asiatico non molla. E lavora a nuove alleanze
Dopo cinque cicli di negoziati falliti, entrano in vigore i dazi del 50% imposti dal presidente Usa, Donald Trump, sulla maggior parte delle importazioni statunitensi dall’India, punizione per gli acquisti di petrolio russo a prezzi scontati per le raffinerie indiane. Si tratta di una delle tariffe più alte a livello globale. Dall’invasione dell’Ucraina la dipendenza dell’India dal petrolio di Mosca è aumentata, tanto che Nuova Delhi è diventata il principale importatore del greggio russo. Se prima questo rappresentava una minima parte di quello proveniente dall’estero, ad oggi copre il 45% del fabbisogno nazionale indiano. Tanto strategico che, di fronte alla scelta tra le importazioni di greggio russo e le esportazioni in Usa, Nuova Delhi ha salvato le prime. Annunciati agli inizi di agosto dalla Casa Bianca, che aveva già imposto dazi del 25% sui prodotti indiani, le nuove tariffe riguardano settori chiave dell’export di Nuova Delhi come tessuti, gemme e gioielli (per cui gli Usa rappresentano un terzo delle esportazioni), ma anche calzature, prodotti chimici e mobili. Il rischio è di infliggere danni significativi all’economia dell’India, per cui gli Stati Uniti sono il principale partner commerciale. Ad oggi, però, la maggior parte delle esportazioni verso gli Stati Uniti sono soggette a dazi elevati. Misure tanto rigide non sono state prese neppure nei confronti della Cina, altro importante acquirente di Mosca. Fa riflettere, inoltre, che questo avvenga proprio nei giorni in cui il Wall Street Journal rivela dei colloqui segreti tra il colosso petrolifero statunitense Exxon e il gruppo russo Rosneft con l’obiettivo di riprendere gli affari, sfruttando i giacimenti russi. Cosa farà l’India? Inevitabile, secondo gli osservatori, un rafforzamento dei rapporti con Mosca e Pechino.
La punizione all’India per gli acquisti di petrolio russo – La motivazione fornita ufficialmente da Trump e che Nuova Delhi sta indirettamente contribuendo a finanziare la guerra in Ucraina. “Le azioni e le politiche del governo della Federazione russa continuano a rappresentare una minaccia enorme e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti. Ritengo necessario e appropriato – si legge nell’ordine esecutivo – imporre un dazio aggiuntivo sulle importazioni di prodotti provenienti dall’India, che importa direttamente o indirettamente petrolio dalla Federazione russa”. Cosa accadrà? Le esportazioni di Nuova Delhi hanno raggiunto complessivamente un valore di circa 434 miliardi di dollari nell’anno conclusosi a marzo 2025, con quasi il 20% (circa 87 miliardi di dollari) spedito negli Stati Uniti. Secondo il capo economista di Goldman Sachs per l’India, Santanu Sengupta, le imposte del 50% potrebbero trascinare la crescita del Pil al di sotto del 6% (rispetto a un livello previsto di circa il 6,5%). Come raccontato dal Guardian, circa il 30% delle esportazioni indiane verso gli Usa, ossia quelle di prodotti farmaceutici, elettronica e combustibili raffinati (per un valore di 27,6 miliardi di dollari) al momento è esente da dazi, ma i settori del tessile, della gioielleria e dei prodotti ittici stanno già affrontando una contrazione degli ordini. La Federazione delle Organizzazioni Indiane per l’Esportazione ha segnalato che i produttori tessili e di abbigliamento di Tirupur, Delhi e Surat hanno già interrotto la produzione a causa del peggioramento della competitività dei costi “rispetto a quelli che possono garantire i concorrenti provenienti da Cina, Vietnam, Cambogia, Filippine e altri paesi del Sud-Est e dell’Asia meridionale” ha affermato il presidente della Fieo, Sc Ralhan. In vista dei dazi, le azioni indiane sono crollate.
Il clima di sfida e le contraddizioni geopolitiche – Messa di fronte alla scelta tra salvare l’export verso gli Usa o gli acquisti di petrolio russo, però, l’India non ha mai ceduto. E ha mandato in fumo anche la possibilità di accordo commerciale che limitasse i dazi al 15% a patto che l’India aprisse il suo mercato agricolo ai prodotti statunitensi. In risposta i dazi, il primo ministro indiano Narendra Modi ha lanciato un appello (“Tutti noi dovremmo acquistare solo prodotti made in India”), incoraggiato i negozianti a esporre cartelli per promuovere i prodotti nazionali. In gioco non c’è solo il prevedibile calo degli scambi commerciali tra i due Paesi, ma la fiducia nelle loro future relazioni. Il ministro degli Esteri indiano Jaishankar ha definito “ingiustificata e irragionevole” la richiesta di Washington di smettere di acquistare greggio russo. Per evitare l’ulteriore tariffa l’India avrebbe dovuto sostituire oltre il 40% delle sue importazioni di greggio. I dazi sarebbero stati erroneamente “presentati come una questione petrolifera”, ma il ministro ha sottolineato che l’Europa commercia molto di più con la Russia. Per non parlare dell’incontro tra Trump e Putin in Alaska e delle recenti rivelazioni sulle prove di riavvicinamento tra Exxon e Mosca. “Il modo in cui il presidente Trump si rapporta con il mondo è un cambiamento radicale… l’applicazione di dazi in questo modo, anche per il commercio, è una novità, l’applicazione di dazi su questioni non commerciali lo è ancora di più” ha detto, intervenendo al The Economic Times World Leaders Forum 2025.
Il blocco che apre alle nuove (e necessarie) alleanze – La strada per l’India sembra segnata e porta in Russia (Putin dovrebbe visitare Nuova Delhi entro la fine dell’anno) e in Cina (Modi farà il suo primo viaggio in Cina dopo sette anni per partecipare al vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai). Nei giorni scorsi, proprio l’ambasciatore cinese in India, Xu Feihong, ha affermato che Pechino “si oppone con fermezza” ai dazi elevati imposti da Washington, sollecitando una maggiore cooperazione tra India e Cina. Xu ha paragonato gli Usa a un “bullo” e in un’inedita difesa del Paese con cui Pechino ha una forte rivalità, tra contenziosi territoriali sfociati nel 2020 a Galwan, in Ladakh, in scontri mortali tra militari al confine himalayano. Da allora, però, Pechino e Nuova Delhi hanno gradualmente lavorato per normalizzare i rapporti.