Giustizia

Maysoon Majidi, la procura di Crotone impugna l’assoluzione dell’attivista accusata di essere una scafista

Accusata di essere "l'aiutante del capitano", era stata assolta il 5 febbraio. La procura contesta una lettura "errata" e "lacunosa", "fondata su un travisamento delle prove".

Il pubblico ministero della Procura della Repubblica di Crotone ha deciso di impugnare l’assoluzione in primo grado della regista e attivista curdo-iraniana Maysoon Majidi, accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e incarcerata per trecento giorni prima della sospensione della custodia cautelare a fine ottobre 2024. Il 5 febbraio 2025, il Tribunale di Crotone l’ha assolta negando che fin dall’inizio ci fossero elementi per accusarla di essere stata una “scafista”. Oggi, 21 luglio, arriva l’impugnazione della procura di cui ha dato notizia Sergio Scandura di Radio Radicale su X. Sostenendo irregolarità procedurali e contraddizioni nelle prove raccolte, la procura chiede alla Corte d’Appello di Catanzaro di riformare la sentenza.

Appartenente alla minoranza curda in Iran, Majidi aveva lasciato il paese nel 2019 dopo essere stata perseguitata dal regime per il suo attivismo, subendo anche violenze durante la detenzione. Fuggita nel Kurdistan iracheno insieme al fratello, dopo il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno ha tentato la via del mare, con l’obiettivo finale di arrivare in Germania, dove risiedono i suoi familiari. Cinque giorni di traversata per arrivare a Crotone, dove sono stati arrestati il 31 dicembre 2023. Majidi è stata accusata essere una scafista, “l’aiutante del capitano”, di aver distribuito acqua e cibo e mantenuto l’ordine a bordo. “Solo dopo tre mesi di carcere ho capito di cosa ero accusata”, aveva raccontato ai microfoni del Fatto dopo l’assoluzione.

Secondo il Tribunale di Crotone, l’ipotesi di aver lavorato come mozzo o collaboratrice del capitano era totalmente infondata, inconsistente e smentita da altre evidenze. Le dichiarazioni accusatorie di due compagni di viaggio sono state considerate inattendibili, né riscontrabili tra gli altri migranti o da dati oggettivi come foto, video o comunicazioni telefoniche, che al contrario scagionerebbero la donna. Un selfie e una foto con il capitano sono stati ritenuti espressione di una semplice amicizia nata durante la navigazione e la presunta fuga al momento dello sbarco a bordo di un tender – prova regina secondo l’accusa – solo un modo “di sottrarsi al controllo di frontiera in Italia (e relativa acquisizione di impronte digitali) al fine di chiedere asilo o permesso di soggiorno in Germania”, ha scritto il Tribunale.

Di tutt’altro parere la Procura. Secondo il ricorso, l’assoluzione è “completamente errata, in termini di fattualità e di valutazione delle prove, nonché lacunosa e illogica la relativa motivazione”. La pm Rosaria Multari, che per Majidi aveva chiesto una pena di 2 anni e 4 mesi e una multa di 1 milione e 125 mila euro, contesta in particolare una lettura “errata” e “lacunosa”, “fondata su un travisamento delle prove”, in particolare riguardo al rapporto tra Majidi e il “capitano” Akaturk, alla gestione del telefono cellulare e alla valutazione della fuga. Lamenta inoltre l’omessa valutazione di prove definite cruciali, come un video Instagram e i contatti con Sangar, “uno degli organizzatori del viaggio, che le faceva una ricarica telefonica, per consentirle credito e linea telefonica, oltre che indicarle di allontanarsi con urgenza da Crotone (anche chiedendo aiuto a “persone” del posto), per evitare di essere arrestata”, scrive la procura. La richiesta alla Corte d’Appello è di dichiarare le responsabilità penali e la relativa condanna.