Politica

Inchiesta Milano, o il Pd abbandona l’abbraccio mortale con le lobby immobiliariste o non sarà mai credibile

Quella che stiamo vedendo a Milano, come in altre città governate da giunte progressiste, è l'appalto a potenti lobby immobiliariste di una malintesa "rigenerazione urbana"

Voglio essere chiaro fino in fondo. Non mi interessa la vicenda giudiziaria di sindaco e assessori milanesi. Spetterà come si suole dire alla giustizia che farà il suo corso. La questione fondamentale, a mio dire, è politica e attiene alla “rigenerazione urbana”, alle politiche urbanistiche e quelle abitative. È un nodo centrale quello della rigenerazione urbana che vede il Pd in una posizione perlomeno ambigua, che troppo spesso rigenera solo i capitali delle lobby immobiliariste.

Quella che stiamo vedendo a Milano, come, del resto, anche in altre città in Italia governate da giunte progressiste, è l’appalto a privati ed in particolare a potenti lobby immobiliariste di una malintesa “rigenerazione urbana” che sembra debba, e possa, avvenire solo sotto l’ispirazione, la direzione, il controllo e il vantaggio economico di privati, in cambio, nei casi più favorevoli, di qualche briciola di spazio verde o di qualche alloggio rigorosamente a canone “agevolato”, sia mai che si parli di case popolari.

Su questa malintesa idea programmatica di rigenerazione urbana, oggettivamente, Milano, in particolare con Sala, ha fatto scuola.

Ricordo la vicenda dei capannoni trasformati, con silenzi/assensi, in grattacieli da trenta piani, ricordo l’ex assessore Maran, oggi eurodeputato Pd, che, senza battere ciglio, parlava di sbattere fuori da Milano i poveri; ricordo la scelta di passaggio graduale delle case popolari del Comune di Milano a Invimit, che certo non ha la mission di dare case ai poveri, ma di “valorizzare”, termine molto in voga in alcuni ambienti progressisti, il patrimonio pubblico.

Si tratta di programmi e iniziative che erano e sono figli di una idea di città che ha prodotto emulazioni anche in altri Comuni e regioni a governo progressista. Idea di città che, purtroppo, si può sovrapporre ai piani casa di Salvini o alle proposte urbanistiche e di politiche abitative di Regioni quali la Lombardia e il Lazio.

Oggi, proprio mentre il Pd si sta impegnando in un tour per far conoscere un proprio documento programmatico sulle politiche abitative in buona parte condivisibile e avanzato; mentre è impegnato a sostenere la proposta di legge costituzionale per il diritto all’abitare nella Costituzione, governa comuni e regioni che vanno in altra direzione. Questo certo non aiuta alla chiarezza né alla credibilità rispetto ad una proposta politica effettivamente riconoscibile come alternativa alle destre.

La rigenerazione urbana ha prodotto il risultato che oggi gli appetiti speculativi si sono spostati dal consumo di suolo, al riuso di immobili inutilizzati, meglio se finanziati dal pubblico, o all’abbattimento e ricostruzione di immobili anche di proprietà pubblica ma con privati interessati, a mettere mano al vasto patrimonio pubblico inutilizzato, che propongono di “valorizzare” a loro uso e consumo.

Attenzione gli appetiti, si fanno ancora più forti. Siamo alla vigilia di un Piano Casa Italia, che Salvini, guarda caso, sta definendo con costruttori, fondazioni e associazioni di proprietari, e ad Piano casa Europeo, si dice, del valore di 100 miliardi di euro. In ambedue i piani si paventa, appunto, una rigenerazione urbana che richiama molto i programmi attuati a Milano e in Lombardia, ma non solo, fondata sulla parola magica: “senza consumo di suolo”. Peccato che da nessuna parte si preveda il controllo pubblico e la direzione pubblica della rigenerazione urbana. Ancora meno si parla di coinvolgimento attivo e decisivo delle associazioni di abitanti. Non si parla ovviamente di aumentare con il recupero di case la dotazione di case popolari per rispondere al fabbisogno reale e povero, tutto coperto dalla parola social housing che ovviamente non guarda ai poveri.

Ecco perché la questione Milano diventa un banco di prova della capacità politica di offrire una visione alternativa a quella che oggi vede convergere nelle politiche urbanistiche e abitative la destra e il centro sinistra e non è solo questione di rimpasto o dimissioni. Alle sentenze ci pensano eventualmente i giudici.