Lavoro

Perché investire nel benessere dei lavoratori non è un lusso, ma una responsabilità strategica

Possiamo scegliere di trasmettere modelli basati sull’alienazione e sul sacrificio, oppure valori fondati sul rispetto, sull’equilibrio e sulla cura

di Costanza Matafù*

Ci fermiamo mai a sentire come risuonano davvero le parole che usiamo – nel corpo, nella mente, nel cuore? Ci rappresentano? Le espressioni entrate nell’uso quotidiano, nate nella nostra lingua o prese in prestito, non sempre riflettono davvero il nostro pensiero; spesso le ripetiamo per abitudine senza prestarvi attenzione. Inoltre, non sempre siamo consapevoli che l’uso automatico di certe espressioni genera effetti a catena, con ripercussioni significative che influenzeranno le generazioni future.

Un esempio è work-life balance, che plasma da anni il modo di pensare il lavoro. In italiano si traduce come equilibrio vita-lavoro, ma nessuna considerazione è data al fatto che per lavorare dobbiamo essere in vita. Il lavoro è parte essenziale della vita, non solo per la sussistenza ma anche per l’autorealizzazione, come ricorda la piramide dei bisogni di Maslow.

Questa complessità ci invita a rivedere i confini tra vita professionale e personale, spesso percepiti come netti ma in realtà molto fluidi. Del resto, la parola personale – nel senso di lavoratori, dipendenti, collaboratori – contiene in sé la parola persona. Sono le persone a svolgere il lavoro. Persino computer e intelligenza artificiale non esisterebbero senza chi li ha immaginati.

E proprio perché il lavoro è fatto dalle persone, è importante ricordare che le persone non sono risorse fredde, senz’anima, emozioni o personalità. Tutto il contrario: motivazione, energia, resilienza e capacità di risolvere problemi nascono da competenze e qualità che compongono la persona nella sua interezza. Se mancassero, avremmo gruppi di lavoro composti da automi capaci solo di eseguire ordini senza spirito critico né creativo. Sarebbe un ambiente impoverito, senza la possibilità di contribuire davvero con le specificità di ogni individuo. Specificità che nascono, si formano e si affinano non solo in ufficio, ma anche nella vita personale: a casa, da soli, con famiglia, amici, in crisi e in gioia. È questa totalità che rende le persone vive – e quindi capaci di lavorare bene, per sé e per gli altri.

Per comprendere meglio l’importanza di questa totalità, proviamo ora a visualizzare la piramide di Maslow capovolta: la base è troppo stretta per sostenere il peso superiore, la struttura è instabile. Possiamo lavorare bene trascurando i nostri bisogni fondamentali? Possiamo sostenere progetti se siamo esausti o disconnessi da noi stessi? No, perché “se non dedichi tempo al tuo benessere, prima o poi sarai costretto a dedicarlo alla tua malattia” (cit. Joyce Sunada).

Investire nel benessere organizzativo non è una moda, è una necessità. I dati lo confermano: secondo l’Oil (2022) e l’Eu-Osha (2023), il benessere psicologico sul lavoro migliora la salute mentale, riduce turnover e assenteismo, e aumenta motivazione e produttività. Anche l’OMS (2021) sottolinea l’importanza di ambienti di lavoro sani, per la crescita sostenibile delle organizzazioni.

In linea con il Secondo Piano d’Azione Nazionale su Impresa e Diritti Umani 2021–2026, è fondamentale promuovere ambienti di lavoro inclusivi e sicuri, che prevengano i rischi psicosociali e tutelino il benessere psicologico e l’equità. Significa creare contesti dove la persona è al centro, e la cultura aziendale promuove consapevolezza, inclusione, sostenibilità delle relazioni e dei processi, favorendo momenti di ascolto e condivisione autentica, di riflessione e co-costruzione dei valori comuni. Per tradurre questi valori in pratica, servono strumenti concreti come ritiri annuali proposti dal team, feedback strutturati, formazione su diritti, diversità e prevenzione dei rischi psicosociali. Pratiche operative efficaci includono check-in regolari, formazione continua sulle competenze interpersonali, percorsi di leadership inclusiva con coaching e mindfulness, e politiche chiare contro discriminazioni e sovraccarico digitale.

Un team che si sente ascoltato, coinvolto e rispettato sarà più motivato, coeso e creativo. Da questo derivano benefici concreti come la riduzione di burnout e turnover, una maggiore apertura ai feedback, il miglioramento delle performance, l’efficacia nei processi decisionali, la capacità di affrontare i conflitti e una crescita sostenibile allineata agli obiettivi aziendali e ai principi internazionali sui diritti umani e del lavoro.

Investire nel benessere delle persone sul luogo di lavoro non è un lusso, ma una responsabilità strategica. Una persona serena lavora meglio, collabora in modo costruttivo, ha più energia per affrontare le sfide e contribuisce a creare un ambiente sano e generativo — per sé, per il team, per l’organizzazione. I benefici si riflettono non solo sul lavoro, ma si estendono anche alla famiglia, alla cerchia sociale e alla comunità. Così, ogni giorno, con il nostro modo di lavorare, educhiamo le generazioni future. Possiamo scegliere di trasmettere modelli basati sull’alienazione e sul sacrificio, oppure valori fondati sul rispetto, sull’equilibrio e sulla cura.

Il cambiamento parte da noi. E ha il potere di moltiplicarsi.

*Mediatrice interculturale ed esperta in progettazione, ricerca e formazione su benessere organizzativo, parità di genere e inclusione sociale