
La scienza descrive l’universo e la tecnologia ci permette di esplorarlo, ma spetta ad “artisti, cuochi e santi” assieme ai poeti dire che cosa significhi vivere nell’universo
I baby boomer di tutto il mondo vissero con grande emozione la missione Apollo 11, i primi passi dell’uomo sulla Luna. Era il 20 luglio 1969. Le reazioni, però, furono diverse. La maggioranza visse la conquista con orgoglio, ammirazione, speranza in un futuro radioso. Il confine tra fantascienza e realtà si era assottigliato. Alcuni provarono sentimenti contrastanti, qualcuno addirittura rabbia. Personalmente, in vacanza nella Maremma dopo la maturità, provai una profonda malinconia.
L’evento ha ispirato poeti più o meno laureati di tutto il mondo. Parecchi lo hanno celebrato con opere che catturano la meraviglia, il coraggio e le implicazioni filosofiche dell’avventura oltre i confini della Terra. Altri lo hanno usato come una lente di lettura per criticare le priorità della società o per esplorare le implicazioni filosofiche dell’umanità, destinata a lasciare il proprio pianeta nativo.
“Moon landing” di Wystan Hugh Auden è tra le più note. Una riflessione cupa sul paradosso dello sbarco sulla Luna. Il poeta riconosce il risultato sotto il profilo della scienza e delle esplorazioni, ma ne mette in dubbio il significato di crescita spirituale dell’umanità. Il verso più famoso: “It’s natural the Boys should whoop it up for so huge a phallic triumph” (È naturale che i Boys urlino per un trionfo fallico così enorme). Auden paragona Armstrong, Aldrin e Collins a eroi omerici e, nello stesso tempo, non intravede alcun romanticismo ispiratore né significati epocali nell’atto di visitare la luna.
Il finale di Auden è amaro: “Our apparatniks will continue making / the usual squalid mess called History: / all we can pray for is that artists, / chefs and saints may still appear to blithe it”. I nostri burocrati continueranno a creare il solito squallido pasticcio chiamato Storia: tutto ciò per cui possiamo pregare è che possano gli artisti, i cuochi e i santi affacciarsi a rallegrarla.
Sebbene scritta quasi due secoli prima delle missioni Apollo, “To the moon” è una poesia di Percy Bysshe Shelley che possiamo associare allo sbarco sulla Luna per come affronta i temi della meraviglia, del desiderio e della esplorazione.
Sei pallida per la stanchezza
Di scalare il cielo e fissare la terra
Di vagare senza compagnia
Tra le stelle che hanno una nascita diversa,
E in continuo cambiamento, come un occhio senza gioia
Che non trova alcun oggetto degno della sua costanza?
Nel “Canto notturno di un pastore errante”, Giacomo Leopardi chiedeva alla luna il senso del suo esistere, Che fai tu luna in ciel? Dimmi che fai, silenziosa luna? Accenti diversi, sensibilità comuni. La scienza descrive l’universo e la tecnologia ci permette di esplorarlo, ma spetta ad “artisti, cuochi e santi” assieme ai poeti dire che cosa significhi vivere nell’universo e declinare la tecnologia. La conoscenza scientifica non sempre è saggia né sapiente: nessuno potrà più provare l’emozione dei massimi poeti di due secoli fa.
In pratica, la conquista della Luna diede vita a uno show epocale. Il messaggio era ecumenico, come testimoniava la targa posta sul luogo dell’allunaggio: “Qui gli uomini del pianeta Terra misero piede per la prima volta sulla Luna. Luglio 1969 d.C. Siamo venuti in pace a nome di tutta l’umanità”. Allora la pace era una aspirazione condivisa da tutti, in risposta allo strazio del Vietnam. Il commento più brillante fu espresso da un italiano, il telecronista Ruggero Orlando della Rai che paragonò l’impresa al momento dell’evoluzione vitale in cui l’uomo uscì per la prima volta dall’acqua e mosse i primi passi sulla Terra.
Thomas Paine, all’epoca boss della Nasa, era più che ottimista sul futuro dei voli spaziali. In una intervista si spinse a favoleggiare vacanze lunari a soli 5mila dollari, andata e ritorno, entro un ventennio. “Il turista di un resort lunare a cupola potrà indossare un paio di ali e volare come Icaro nell’atmosfera artificiale, usando solo la forza muscolare per volare”, spiegò alla rivista Time. Applausi.
Dopo quasi 60 anni, solo 12 umani hanno calpestato il suolo della Luna; e nessun turista. Il finanziamento pubblico è crollato. Oligarchi e miliardari, spalleggiati da grandi aziende, allargano ora i confini economici, tecnologici e geopolitici in una nuova corsa alla Luna. I comuni mortali sono disposti a barattare nuovamente i propri sogni e glorificare la nuova impresa con un epico fracasso social, ma solo a patto che costoro rimangano lassù per sempre.