
L'accusa del sindacato delle toghe: "Dal ministro gravi inadempienze". Il segretario Rocco Maruotti sul caso Almasri: "Falso e offensivo dire che l'indagine sia contro la riforma"
“Non possiamo che manifestare tutta la nostra preoccupazione per il rischio più che concreto che lo Stato italiano debba rinunciare a una quota rilevante di fondi europei a causa della “distrazione” di un governo troppo concentrato su una riforma costituzionale che, invece di migliorare l’efficienza della giustizia, mira a ridurre l’autonomia e l’indipendenza della magistratura per alterare il delicato equilibrio su cui si regge la separazione dei poteri e quindi, in definitiva, l’attuale assetto democratico del nostro Paese”. L’allarme sul Pnrr giustizia arriva dall’Associazione nazionale magistrati con una mozione approvata dal Comitato direttivo centrale, il “parlamentino” dell’organismo rappresentrativo delle toghe, riunito sabato in Cassazione. Il riferimento è al clamoroso ritardo dell’Italia su uno dei quattro obiettivi del Piano: la riduzione del 40%, entro il giugno 2026, della durata media dei processi civili rispetto al dato del 2019 (che era di quasi sette anni). Un target “fuori portata e che quindi non andava assunto in questi termini”, scrivono i vertici Anm, criticando gli impegni concordati con l’Europa dal governo Draghi. Ma l’attacco più duro è all’esecutivo attuale: al 31 dicembre dell’anno scorso, infatti, l’abbattimento della durata dei giudizi era fermo al 20,1%, la metà esatta del necessario. Un dato che “difficilmente potrà essere ulteriormente migliorato, anche per una sbagliata programmazione, da parte del ministero, delle risorse necessarie al suo pieno conseguimento”, sottolinea il documento.
L’accusa è netta: “Invece di coordinare i suoi sforzi con i magistrati, che si sono impegnati senza risparmiare le risorse, il governo ha preferito dedicare le sue energie alla scrittura e all’approvazione di una riforma costituzionale”, quella sulla separazione delle carriere, “che provocherà squilibri nell’assetto dei poteri dello Stato senza giovare minimamente all’efficienza della giustizia”. Nel frattempo, ricorda l’Anm, “non sono stati stabilizzati” i migliaia di addetti all’Ufficio per il processo, gli ausiliari dei giudici assunti con contratti a termine, che quindi si dimettono non appena trovano un impiego a tempo indeterminato. Inoltre, si lasciano pendere di fronte ai tribunali italiani montagne di processi che potrebbero essere facilmente evitati: ad esempio “25mila procedimenti in tema di doppia cittadinanza per i discendenti degli emigrati, questione che potrebbe essere decisa amministrativamente dai consolati”, oppure “70mila giudizi in materia di protezione internazionale, che, una volta concessa in via provvisoria dal giudice civile, potrebbe essere concessa in via definitiva dal ministero dell’Interno”; o ancora “un numero infinito di giudizi in materia tributaria, che proseguono nonostante il contribuente abbia aderito a qualche forma di concordato”.
“A fronte di queste sue gravi inadempienze“, prosegue la mozione, “il ministero della Giustizia, non sapendo come risolvere il problema, ha chiesto tardivamente aiuto” al Consiglio superiore della magistratura, che in una bozza di delibera ha proposto soluzioni d’emergenza come il rientro in servizio di 500 giudici pensionati o il “prestito” di 550 magistrati da remoto dai tribunali virtuosi a quelli più in difficoltà, per smaltire il lavoro a distanza. Si tratta, secondo l’Anm, di “strumenti eccezionali, verosimilmente inadeguati e comunque insufficienti a fornire una risposta in linea con le aspettative dell’Unione europea”. Per questo il presidente Cesare Parodi, nel punto stampa a margine della relazione, mette le mani avanti: “Non vorrei mai – il timore ce l’ho e spero non accada – che si venga poi a dire che il mancato raggiungimento degli obiettivi è stato colpa dei magistrati, perché non è così. Se i magistrati avessero avuto a disposizione personale amministrativo, addetti all’Ufficio per il processo, una geografia giudiziaria più razionale, degli organici adeguati, questi obiettivi sarebbero stati raggiunti. Oggi prendiamo atto che non sono stati raggiunti per queste carenze. I magistrati non si tireranno indietro, il Csm ha fatto le sue valutazioni ma non potrà fare miracoli, perché stiamo parlando di un arco temporale breve”.
C’è spazio anche per il caso Almasri, affrontato nella sua relazione dal segretario dell’Anm Rocco Maruotti: “Non accetteremo il tentativo, già operato goffamente dal ministro Nordio, di sostenere che l’accertamento della verità sulla vicenda Almasri è un’operazione per contrastare la riforma costituzionale. È una accusa falsa e offensiva“, afferma. Sulla liberazione e il rimpatrio del generale libico, aggiunge, “credo sia abbastanza cristallizzato il fatto che vi è una responsabilità politica, che vuol dire semplicemente che il governo si è assunto la responsabilità di una decisione. Ci auguriamo che non ne conseguano anche responsabilità penali, che sono quelle, eventuali, sulle quali sta facendo i suoi accertamenti il Tribunale dei ministri. Quello che invece ci preoccupa sono le dichiarazioni del ministro Nordio in cui tentava in maniera un po’ goffa di vedere in questo accertamento della verità un tentativo della magistratura nel suo complesso di mettere il bastone tra le ruote del governo per contrastare la riforma costituzionale della magistratura”,