
La campagna europea per la pace, dopo la manifestazione del 21 giugno scorso, lancia una nuova fase di impegno civico che parta dalle amministrazioni locali
Se i governanti si muovono il riarmo dell’Europa ignorando il volere dei cittadini, una delle poche mobilitazioni rimasta possibile è quella dal basso. A partire dalle istituzioni più vicine ai cittadini: i Comuni. Dopo la manifestazione di piazza del 21 giugno scorso, la campagna europea “Stop Rearm Europe” ha deciso di lanciare una nuova fase di mobilitazione che coinvolge direttamente i territori: “Comuni per la pace e contro il riarmo”. Ovvero: si propone alle amministrazioni locali di presentare ordini del giorno e delibere di iniziativa popolare contro l’aumento delle spese militari, così come previsto dal Piano di riarmo europeo e dalla decisione presa in sede Nato di destinare il 5 per cento del Pil degli Stati Ue alla Difesa e all’industria degli armamenti.
Ad annunciarlo sono i promotori italiani della campagna europea: Arci, Ferma il Riarmo (Sbilanciamoci, Rete Italiana Pace e Disarmo, Fondazione Perugia Assisi, Greenpeace Italia), Attac e Transform Italia. Le scelte dei governi europei, si legge nel comunicato, “incideranno sulle risorse destinate ai Comuni con ulteriori tagli ai servizi pubblici e alla spesa sociale, fino a comprometterne la funzione pubblica e sociale”. Da qui la proposta: “In ogni Comune venga votata una delibera che schieri l’Ente Locale per la Pace e contro ogni politica di riarmo”. Dal sito della campagna è possibile anche scaricare un modello di testo da proporre al proprio Comune che, se approvato, impegna il primo cittadino a “convocare una seduta di Consiglio Comunale aperta alla cittadinanza per informare del presente ordine del giorno e per discutere iniziative che promuovano la cultura del disarmo, della pace e del dialogo fra i popoli da realizzare nel territorio”; “a trasmettere il documento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Comitato Europeo delle Regioni e all’Anci”.
I promotori, si legge nel manifesto di lancio, lanciano l’allarme sui tagli che comporteranno le maggiori spese per la difesa. “Ogni investimento negli armamenti”, scrivono, “rende, in termini occupazionali, solo 3.000 posti per ogni miliardo, mentre, a parità di investimento, renderebbe 8.000 posti nel settore ambientale, 12.000 nel settore sanitario e 14.000 nel settore dell’istruzione”. Senza dimenticare, chiudono, che “ad oggi sono già 15 miliardi complessivi le risorse sottratte ai Comuni a causa del Patto di Stabilità, attraverso il blocco delle assunzioni di personale e l’azzeramento delle possibilità d’investimento, e la Legge di Bilancio 2025 ha già previsto un ulteriore taglio di complessivi 1,3 miliardi per il periodo 2025-2029″. Per questo, “in vista della prossima legge di bilancio, l’autunno che verrà sarà il più bollente degli ultimi decenni in termini di lotta e mobilitazione in Italia e in Europa”.