
Duecento attivisti si sono opposti allo sgombero del bosco di Ca' Alte a Vicenza, dove dovrebbero passare i cantieri del secondo lotto dell'alta velocità
La colonna di blindati di polizia e carabinieri arriva al bosco vicentino di Ca’ Alte alle prime luci del giorno. Da un anno, l’area verde è occupata da cittadine e cittadini per difenderla dai cantieri del Tav. Hanno costruito barricate in ferro e legno. E martedì mattina dell’8 luglio, in duecento hanno atteso le ruspe. I più anziani si sono incatenati alla prima barricata. C’è chi è legato alle strutture in legno. E c’è anche chi è salito sulle casette sugli alberi.
“Ci siamo incatenati per salvare il verde di questa città – spiega Susi mentre fa passare attorno a sé la catena – i boschi ci fanno respirare e non possiamo buttarli via per far passare un cantiere”. Le operazioni di sgombero partono alle nove. La polizia inizia a tagliare le catene e spostare di peso tutti quelli seduti a terra. Ci sono pensionati, studenti, perfino una bambina.
“Nove anni di cantieri e più di due miliardi di euro per risparmiare una manciata di minuti di viaggio in futuro”, dice un ragazzo mentre viene alzato. Lo sgombero va a rilento. Per spostare chi è incatenato ai piani superiori della barricata deve arrivare la piattaforma dei vigili del fuoco. E una volta spostate le persone, entra in azione la ruspa. La prima barricata va giù. Ma ce ne sono altre due da rimuovere.“Pensateci prima di distruggere un bosco, il caldo è anche nostra responsabilità”, grida un’attivista dall’alto.“Il Tav è un progetto insostenibile specialmente perché devasta aree verdi in una città che soffoca per il cado d’estate e per le polvere sottili e l’inquinamento d’inverno”, racconta Angela prima di essere spostata di peso dalla barricata e fatta salire insieme ad altri attivisti sui bus della polizia diretti in questura.
Sono passate più di cinque ore dall’inizio dello sgombero, ma ci sono ancora barricate da buttare giù. Le assi di legno sono usate come scudi. Sopra ci sono diverse scritte. “I boschi che resistono”. “Siamo la natura che si ribella”. Entra in azione l’idrante della polizia. E i manifestanti indietreggiano sotto la spinta dell’acqua verso l’entrata del bosco. Dietro l’ultima barricata. Da lì guardano sfilare gli operai che recintano l’argine del fiume.
Per il momento le ruspe non entrano nel bosco. Sono passate sei ore dall’inizio dello sgombero. Ma le operazioni si fermano qui.
“Nonostante l’enorme dispiegamento di forze dell’ordine la resistenza non si è piegata – commenta con una nota a fine giornata l’assemblea de “I boschi che resistono” – voi siete il cemento che avanza, noi la natura che resiste”.