
Pale eoliche e fotovoltaico, l'esperto: "L’energia a chilometro zero andrebbe pagata solo per l’ultimo miglio senza essere gravata dei costi dei grandi impianti"
“Si parla tanto di sbloccare gli impianti di produzione, tra parchi fotovoltaici ed eolici, per 180 GW di potenza ai fini della transizione ecologica: ma la realtà è che le persone non sanno neanche come funziona la rete elettrica. Forse bisognerebbe partire prima da come funziona la rete elettrica, per poi capire se questi impianti ci servono o meno, come devono essere fatti, come costruirli e come portarli sul territorio”. Leonardo Setti, chimico esperto di energia e ricercatore dell’Università di Bologna, interviene sulla querelle che divide il mondo ambientalista, tra chi spinge per l’installazione di pale eoliche e chi, invece, vuole frenare questi impianti sul territorio. “La mia posizione vorrebbe far riflettere sul fatto che chi installa le pale eoliche è normalmente un soggetto che fa business vendendo energia elettrica alla rete al prezzo più alto; al contrario chi utilizza l’energia, parlo dell’impresa o della singola famiglia, ha bisogno di comprare energia al prezzo più basso. Questi due mondi non si parlano”.
Detta così è una frase retorica, semplificata. Ad esempio, affermare di voler trasformare la Sardegna nella grande centrale eolica d’Italia significa non sapere come funziona la rete elettrica. Perché si vogliono portare le pale in Sardegna, Basilicata e Sicilia? Perché lì il rendimento è altissimo. Ha senso solo per chi fa business, anche perché concentrare tutto in quelle regioni vuol dire costruire dorsali elettriche, ovvero grandi elettrodotti, quindi ulteriore consumo di suolo. È un’operazione di centralizzazione, non è dunque un modo diverso di gestire la produzione di energia.
In che senso, secondo lei, prima di tutto serve sapere come è fatta la rete elettrica italiana?
La rete elettrica consta di tre livelli. Quello dell’alta tensione, elettrodotti simili ad autostrade con uscite che si chiamano cabine primarie: ne abbiamo poco più di 2000 che trasformano l’alta tensione in media e cominciano a portare l’energia sui territori, fino agli utenti finali attraverso le cabine secondarie, che sono circa 450.000 e che trasformano la media tensione in bassa tensione e a quel punto l’energia arriva a 36 milioni di utenti. Quando si mette un impianto fotovoltaico su una casa l’energia finisce sulla rete di bassa tensione, cioè arriva direttamente a tutte le persone collegate in quella strada, e questo a prescindere da come compriamo l’energia. L’energia viene consumata sotto la cabina secondaria dove la produciamo; in questo modo ogni cabina secondaria diventa una comunità energetica rinnovabile. La domanda che dovremmo porci è quanto paghiamo l’energia elettrica per questo tipo di operazione: perché un sardo deve pagarla quanto un milanese?
Il problema è dunque il sistema con cui si paga l’energia?
Esatto, la questione è quella di fare la riforma del mercato elettrico e renderlo più adatto alla gestione dell’energia rinnovabile. Oggi tutta l’energia elettrica, rinnovabile e non, è destinata a un unico mercato di compra-vendita che è la borsa elettrica, la quale definisce prezzo di vendita e di acquisto su scala nazionale a cui tutti si devono attenere. L’energia a chilometro zero andrebbe pagata solo per l’ultimo miglio senza essere gravata dei costi di oneri di sistema e di dispacciamento. Affinché questo avvenga servirebbe la riforma del mercato, come hanno fatto in Spagna.
Ma ciò non accade.
No, perché anche chi fa grandi impianti rinnovabili si troverebbe a competere con il prezzo d’acquisto delle rinnovabili prodotte in bassa tensione. Nessun sistema centralizzato ha interesse alla riforma del mercato elettrico per tutelare il piccolo produttore e il piccolo consumatore.
Cosa fare, allora?
Dobbiamo riformare il mercato elettrico per renderlo più adatto alle rinnovabili e a quel punto ci si accorgerà che, forse, è meglio fare piccoli/medi impianti distribuiti su tutto il territorio. Essi sarebbero più accettati da un punto di vista sociale e darebbero un vantaggio chiaro e immediato ai 36 milioni di contatori. Poi vorrei ricordare un’altra cosa.
Prego.
Il 70% dell’energia la potremmo produrre sui tetti e potrebbe costare ancora meno della pala eolica, perché è prodotta davvero nell’ultimo miglio. Se facessimo così solo il 30% arriverebbe dalla pala eolica, cioè dai grandi impianti centralizzati. Se andiamo a vedere i numeri, possiamo scoprire che abbiamo già realizzato 1,7 milioni di impianti domestici che producono 25 terawattora, ovvero l’equivalente di due centrali nucleari. Le 5.928 pale eoliche già installate nel 2023 producevano circa 23 TWh, cioè meno degli impianti domestici. Insomma, quei piccoli produttori che hanno messo i loro impianti sul tetto hanno alleggerito le loro bollette, stanno condividendo l’energia con i loro vicini nelle 450.000 comunità energetiche, ma soprattutto hanno dimostrato di essere molto più rapidi. Abbiamo un’urgenza climatica? Allora spingiamo l’acceleratore mettendo i piccoli produttori nelle condizioni di fare ciò che a loro è utile.
In conclusione il problema è che siamo un sistema basato sui grandi impianti?
Esatto, partiamo dal presupposto che siccome siamo troppo piccoli, allora le comunità energetiche siano poco efficaci. Oggi abbiamo circa 37 GW di potenza fotovoltaica installata di cui 13 GW sono grandi impianti utility-scale mentre 24 GW sono collegati nelle comunità energetiche di fatto. Al 2040, in Italia, dobbiamo installare altri 120 GW di fotovoltaico cioè altri 266 kW per ogni comunità energetica di fatto che sono l’equivalente di circa 250 metri quadrati. Veramente vogliamo credere di non riuscire a trovare 250 metri quadrati nel nostro quartiere? Il problema di oggi non è produrre tanto ma produrre bene, non è fare tanta rinnovabile ma farla nel modo giusto.