
L'appello dell'associazione: "Difendere il mare non è solo una questione ambientale: è un’urgenza sociale, economica, culturale. Significa garantire sicurezza alimentare a miliardi di persone, tutelare mezzi di sussistenza, promuovere la salute. Significa, in sostanza, difendere la vita"
Di Marevivo
C’è un legame profondo, invisibile ma vitale, che ci unisce al mare. Ogni volta che respiriamo, ogni goccia d’acqua che beviamo, ogni cambiamento climatico che affrontiamo: tutto è intrecciato con l’equilibrio degli oceani. Eppure, troppo spesso, questo legame viene trascurato. La Giornata Mondiale degli Oceani, che si celebra l’8 giugno, ci ricorda che il mare non è un’entità distante o accessoria, ma una presenza costante e fondamentale per la vita sul Pianeta, la casa comune dove coesistiamo con flora e fauna. Lo stato di salute del mare riflette le nostre scelte, i nostri stili di vita, la nostra capacità, o incapacità, di prendercene cura.
Gli oceani coprono oltre il 70% della superficie del Pianeta e generano più del 50% dell’ossigeno che respiriamo. Ospitano una straordinaria biodiversità e regolano il clima globale, assorbendo circa il 90% del calore in eccesso nel sistema climatico terrestre e immagazzinando circa un terzo della CO₂ prodotta dalle attività umane. Eppure, sono sempre più sotto pressione: riscaldamento delle acque, acidificazione, perdita di habitat, inquinamento da plastica e sovrasfruttamento delle risorse ittiche stanno minacciando il delicato equilibrio marino.
Marevivo indica 10 priorità: riconoscere il valore del mare, proteggerne la biodiversità, investire nell’educazione ambientale, rafforzare la governance, promuovere la ricerca scientifica, combattere l’inquinamento da plastica, tutelare le aree marine, incentivare l’economia blu sostenibile, fermare il consumo di suolo costiero e favorire l’impegno collettivo.
Difendere il mare non è solo una questione ambientale: è un’urgenza sociale, economica, culturale. Significa garantire sicurezza alimentare a miliardi di persone, tutelare mezzi di sussistenza, promuovere la salute umana e preservare il patrimonio naturale e simbolico che il mare rappresenta. Significa, in sostanza, difendere la vita.
In questo contesto, il ruolo della scienza è fondamentale: monitorare lo stato degli ecosistemi, comprendere le dinamiche oceaniche, sviluppare soluzioni per ridurre l’impatto antropico sono passaggi imprescindibili per costruire politiche efficaci. Ma non basta. Serve anche un cambio di paradigma culturale, che metta il mare al centro dell’agenda politica e dell’immaginario collettivo.
Occorre ripensare la produzione e il consumo, superando il modello lineare e insostenibile che genera rifiuti e sprechi. Il mare è diventato la discarica finale del nostro sistema economico: ogni anno finiscono negli oceani milioni di tonnellate di plastica, che, frammentandosi, diventano nano e microplastiche, di fatto un inquinante quasi eterno. Queste minuscole particelle di materia plastica vengono ingerite da pesci e uccelli e, entrando nella catena alimentare, anche da noi. Inquinare e avvelenare il mare significa inquinare e avvelenare noi stessi.
Serve un’economia che sia veramente blu, sostenibile e rigenerativa. La Blue Economy deve essere guidata da una visione di lungo periodo, che integri la conservazione della natura con lo sviluppo umano, l’innovazione tecnologica con il rispetto degli equilibri ecologici.
E serve educazione. Educare le giovani generazioni al rispetto del mare, promuovere la conoscenza degli ecosistemi marini, sviluppare competenze e sensibilità diffuse è forse l’azione più potente e duratura che possiamo intraprendere. Perché solo ciò che si conosce davvero, si può amare e proteggere.
Alla vigilia della Terza Conferenza delle Nazioni Unite sull’Oceano (UNOC3), che si terrà a Nizza dal 9 al 13 giugno 2025, le organizzazioni della società civile, le istituzioni, il mondo della ricerca e il settore privato sono chiamati a un impegno comune. L’obiettivo non è solo contenere i danni, ma invertire la rotta: rigenerare gli habitat, ripopolare le specie, ripensare la governance dei mari.
In questa sfida, la protezione degli oceani non può essere una voce a margine: dev’essere al centro della transizione ecologica, al cuore delle politiche climatiche, parte integrante dei nuovi modelli di sviluppo. Non c’è azione per il clima efficace se non si tiene conto del mare. Non ci sarà futuro per l’umanità se gli oceani continueranno ad ammalarsi.
Il mare non è altro da noi. È parte di ciò che siamo. Ci insegna la complessità, l’interdipendenza, la circolarità, il valore dell’equilibrio. Celebrarlo oggi significa riconoscerne la fragilità e assumersi la responsabilità di proteggerlo. Ogni gesto, ogni scelta quotidiana, ogni politica può fare la differenza. Perché salvare il mare è salvare noi stessi.