
Dall’incognita Lautaro alla condizione fisica, passando per l’esperienza e la sfida tra Inzaghi e Luis Enrique: i punti chiave per i nerazzurri
Cinque domande, nessuna risposta certa. Solo la finale di Monaco potrà rispondere, sul campo. L’Inter ha la sua occasione, forse l’ultima per questo ciclo. Le incognite ci sono, ma anche la consapevolezza che questa squadra si è meritata questi 90 minuti (o forse di più). L’Inter di Simone Inzaghi è a un passo dal paradiso, di nuovo. A due anni dalla notte di Istanbul sfumata per un nulla contro il City di Guardiola, i nerazzurri si ripresentano all’ultimo atto della Champions League. Di fronte c’è il Paris Saint–Germain, che non è più una collezione di costose figurine, ma un gruppo giovane guidato dalla sapienza di Luis Enrique. In palio per l’Inter c’è il trofeo più importante, un’eredità da lasciare al futuro, la consacrazione europea di Simone Inzaghi, l’eventuale ultima danza per alcuni veterani. Il rovescio della medaglia però sarebbe terribile: la seconda sconfitta in tre anni, una stagione da zero titoli dove aver flirtato con il triplete, il rischio di dover affrontare separazioni dolorose. Il conto alla rovescia è partito, alla finale di Monaco manca pochissimo. E ci sono cinque domande che alleggiano attorno all’Inter: le risposte faranno pendere l’ago della bilancia, tra storia e sofferenza.
Tutto gira attorno al Toro. Capitano, leader, capocannoniere. Ma anche grande punto interrogativo, perché l’infortunio al flessore lo ha tenuto fuori per oltre tre settimane. Lautaro non gioca dalla semifinale di ritorno contro il Barcellona, dove ha segnato e procurato un rigore giocando su una gamba. La sua presenza è fondamentale. Lo dicono i numeri: in questa Champions ha segnato 9 gol in 767 minuti giocati (quindi una rete ogni 85 minuti), oltre un terzo dei 26 gol totali realizzati dai nerazzurri in Europa. Ma è soprattutto una questione di presenza mentale. È Lautaro il primo a pressare, il primo a crederci, il primo a prendersi le responsabilità nei momenti cruciali. Nella scorsa finale sbagliò due occasioni, lo sa, lo ha rivisto più volte quel film. Adesso ha una nuova chance per scrivere il finale. L’Inter ha bisogno del suo trascinatore e ha bisogno che sia davvero al top.
Due anni fa fu proprio l’inesperienza a costare caro: prestazione da grande squadra contro il Manchester City, ma troppa frenesia sotto porta. L’Inter creò almeno 4 palle gol nitide, ma le sprecò tutte. Oggi, in teoria, dovrebbe essere tutta un’altra storia. Lo dice la carta d’identità: l’età media dell’Inter è oltre i 29 anni, quella del PSG non arriva a 24 anni. E ben 8 giocatori della rosa attuale erano in campo a Istanbul: Bastoni, Barella, Calhanoglu, Darmian, Dimarco, Lautaro, De Vrij, Acerbi. A questi si aggiungono Mkhitaryan (vincitore di due coppe europee) e Pavard, che ha già vinto una Champions con il Bayern (proprio contro il Psg) ed è stato campione del mondo nel 2018. Dall’altra parte il talento non manca, ma l’inesperienza può essere un fattore: rispetto ala finale di Champions del 2020, l’unico superstite è il capitano Marquinhos. L’Inter, questa volta, ha tutto per non tremare nel momento clou.
C’è una statistica che dice tutto: Simone Inzaghi ha vinto 5 Supercoppe (record) e 3 Coppa Italia da allenatore. È anche l’unico allenatore italiano ad aver portato la stessa squadra in due finali di Champions in tre anni dopo Arrigo Sacchi. Sulla panchina dell’Inter ha già visto sfumare due scudetti all’ultima giornata, forse anche per qualche sua lacuna. Ma nelle gare secche è spesso letale: sa leggere la partita, cambiare modulo, motivare. Questo però è il banco di prova definitivo. La finale di Champions ha un peso completamente diverso. E il PSG di Luis Enrique è un rebus continuo, una squadra equilibrata che però vive di cambi di ritmo e soluzioni imprevedibili. Inzaghi dovrà essere lucido, concreto, impeccabile. Senza trasmettere paure alla sua Inter, senza pensare alle critiche che lo inseguono per il finale di campionato. Monaco è l’occasione per la rivincita definitiva.
È la domanda più complessa. In campionato l’Inter ha subito 35 gol in 38 partite, un numero eccessivo e probabilmente la causa del mancato bis scudetto. Ma in Champions il ruolino di marcia difensivo era stato impressionante: appena due gol subiti fino ai quarti di finale contro il Bayern. Poi sono arrivati i tre gol dei tedeschi e soprattutto le sei reti incassate in 180 minuti contro il Barcellona. L’Inter ha saputo rispondere colpo su colpo, ma nei 90 minuti di Monaco potrebbe non esserci il tempo. E adesso arriva l’attacco del PSG: Dembele 8 gol e 4 assist in Champions, Barcola e Doué 3 reti a testa, Kvaratskhelia e Hakimi. Ma anche Nuno Mendes. Senza una prima punta cambia sempre il volto dell’attacco, ma non la pericolosità. E il PSG ha numeri da grande squadra: 33 gol fatti, secondo miglior attacco della Champions. Solo 15 gol subiti, praticamente uno a partita. L’Inter dovrà essere perfetta, o quasi, soprattutto nel terzetto difensivo guidato da Acerbi. Che ama marcare un centravanti, mentre i francesi non daranno punti di riferimento.
La condizione fisica può spostare gli equilibri nella prestazione complessiva dei nerazzurri. Da tempo Inzaghi non può schierare un 11 titolare privo di acciacchi. E anche la finale presenta parecchie incognite. Si parte dal duo di attacco. Di Lautaro si è scritto: è recuperato, ma quanto potrà reggere? Thuram ha faticato tanto nel 2025 per un problema alla caviglia: ha stretto i denti, soprattutto in Champions. Un altro fattore chiave sarà la catena di sinistra. Dimarco è l’ombra di quello visto in autunno e riesce a reggere per poco più di un tempo. Mkhitaryan da instancabile metronomo ormai sente il peso dei 36 anni. Anche il faro del gioco, Calhanoglu, non è mai parso fisicamente brillante in questa primavera. E poi c’è il punto interrogativo Pavard, che non gioca dalla partita con la Roma del 27 aprile. Quanto l’avvicinamento alla finale ha rinfrescato i muscoli dei nerazzurri? Inzaghi spera di poter contare su tutti, compresi i cambi: Carlos Augusto, Frattesi e Taremi su tutti. L’Inter è provata dalle 58 partite giocate in stagione. Servirà l’ultimo sforzo. Il più difficile. Il più importante. Per scrivere il finale perfetto, gli ultimi 90 minuti (o 120) vanno corsi a pieno ritmo. Per non vanificare tutta la fatica a un metro dal traguardo.