Diritti

“Un miliardo di fondi Ue in progetti che violano i diritti fondamentali”. Il rapporto di Bridge EU

Tra le cause anche "l'interpretazione restrittiva" di ciò che costituisce violazione da parte della Commissione europea, spesso basata sulle valutazioni delle stesse autorità nazionali responsabili dei programmi

A lanciare l’allarme è l’osservatorio indipendente sui diritti umani Bridge EU insieme a una rete di partner, in un rapporto che rivela come i fondi Ue vengano utilizzati per iniziative che violano i diritti fondamentali. Lo studio è parte del progetto FURI (EU Funds for Fundamental Rights), co-finanziato dall’Unione Europea per monitorare l’applicazione della Carta dei diritti fondamentali nell’utilizzo dei fondi europei e rafforzare la capacità degli attori istituzionali coinvolti di segnalare e affrontare le violazioni. Capacità sulla quale sembra esserci ancora molta strada da fare. Il rapporto denuncia che, nonostante i regolamenti Ue e l’esistenza di requisiti legali che impongono il rispetto dei diritti fondamentali, una somma stimata di circa 1,1 miliardi di euro è stata impiegata in progetti che violerebbero tali diritti in sei paesi membri: Bulgaria, Cechia, Grecia, Ungheria, Polonia e Romania.

La ricerca, che ha identificato 63 progetti, parla di un “modello” di violazione dei diritti finanziato dai fondi europei. Le vittime principali sono frequentemente le comunità Rom, le persone con disabilità e quelle con un background migratorio. Le aree di violazione spaziano dalla segregazione educativa e abitativa alla privazione della libertà e l’accesso limitato o nullo a servizi pubblici non segregati e di qualità. In Romania, l’utilizzo di fondi per la costruzione di container destinati all’alloggio di famiglie Rom è citato come caso di segregazione abitativa. In Bulgaria e Polonia sono stati finanziati progetti per la costruzione o ristrutturazione di grandi strutture residenziali o piccole case di gruppo per persone con disabilità, pratiche che secondo il rapporto contrastano con il diritto a vivere in modo indipendente nella comunità, che avrebbero portato anche a “gravi violazioni dei diritti fondamentali, inclusi tortura e maltrattamenti”, e avrebbe creato “gravi barriere nell’accesso ai sistemi di reclamo, alla rappresentanza legale e alla giustizia”, con questa “istituzionalizzazione” delle persone che affligge in modo sproporzionato i bambini e in particolare quelli appartenenti alle comunità Rom. Ma il rapporto parla anche di casi documentati di respingimenti di persone migranti finanziati da fondi Ue e delle condizioni nei centri di accoglienza, come quello a Samos in Grecia, che sollevano interrogativi sulla privazione della libertà e il mancato rispetto degli standard legali internazionali ed europei per i richiedenti asilo. Un altro esempio è un progetto a Nyíregyháza, in Ungheria, che avrebbe peggiorato la segregazione abitativa ed educativa per le comunità Rom. Peraltro l’unico caso dove, a seguito di una denuncia, la Commissione europea ha riconosciuto la violazione e sospeso i pagamenti. Ma dice il rapporto, si tratta di una rara eccezione.

L’analisi, infatti, non si limita a elencare le violazioni, analizzandone le “cause sistemiche“. Problema chiave è il “basso livello di comprensione dei requisiti sui diritti fondamentali da parte di molti stakeholder”, comprese le autorità pubbliche, sia a livello nazionale che europeo. Scarsa consapevolezza che si traduce spesso in una errata interpretazione o addirittura una “lettura deliberatamente distorta” delle definizioni legali di segregazione o istituzionalizzazione. Viene evidenziata anche una reazione insufficiente o del tutto assente da parte delle autorità nazionali ed europee di fronte alle violazioni segnalate. Il meccanismo di “gestione condivisa” dei fondi tra Commissione europea e Stati membri, sebbene previsto dalla normativa, crea ambiguità sulle responsabilità (“guerra di competenze”), portando a negligenza nell’affrontare le violazioni e, di fatto, a una situazione di impunità per i responsabili. La prova sarebbe proprio nell’analisi delle denunce esaminate dalla Commissione, ottenute tramite richieste di accesso agli atti, che rivela come la Commissione stessa tenda ad adottare un’interpretazione restrittiva di ciò che costituisce violazione dei diritti fondamentali, spesso basandosi sulle valutazioni delle stesse autorità nazionali responsabili dei programmi, creando così un potenziale conflitto di interessi. La mancanza di sanzioni o azioni di follow-up nella quasi totalità delle denunce esaminate – dice il rapporto – “è un dato particolarmente preoccupante”. Problemi che, insieme alla mancanza di dati disaggregati e di meccanismi di attuazione efficaci, “ostacolano la capacità di identificare, prevenire e porre rimedio” alle violazioni nell’uso dei fondi Ue.