
Due saggi della giornalista Cristina Nadotti e della ricercatrice Sarah Gainsforth affrontano le conseguenze dell'over tourism e delle speculazioni immobiliari nelle città
Gli affitti brevi e il fenomeno del turismo di massa che espelle i residenti dalle città? Secondo due studiose del fenomeno, la giornalista Cristina Nadotti e la ricercatrice Sarah Gainsforth, non sono altro che l’epigono finale di politiche sulla casa sbagliate fin dall’inizio. Politiche che hanno puntato tutto sulla proprietà immobiliare, diventata oggi un vero strumento finanziario, una rendita troppo poco tassata. Lo raccontano in due libri appena usciti, rispettivamente Il turismo che non paga (ed. Ambiente) e L’Italia senza casa (Laterza).
Tanto meno si risolve il problema, spiega Gainsforth, “con la famosa rigenerazione urbana come fatta oggi, che altro non è che la valorizzazione immobiliare privata attraverso fondi pubblici. Se il pubblico migliora lo spazio urbano con una piazza pedonale o una metropolitana, ma poi non fa politiche abitative per controllare l’effetto del miglioramento dello spazio urbano, il valore creato con investimenti pubblici finisce assorbito dalla rendita perché aumentano i prezzi delle case: non viene redistribuito ma è catturato solo dai proprietari di case. Questa, in sostanza, è la gentrificazione, ed è usata intenzionalmente come politica pubblica”. Di più, c’è uno spostamento di risorse pubbliche dall’edilizia pubblica vecchio stile a una nuova edilizia ‘sociale’ vagamente definita. Si dice che per ogni costruzione occorra destinare il 30 per cento all’edilizia sociale ma, nota l’autrice, “non c’è controllo, non c’è trasparenza, non ci sono graduatorie pubbliche, ma la cosa più grave è che di fatto questa edilizia è tutta in vendita non in affitto”. E poi c’è il problema degli studentati. Si è scelto di finanziare il privato, con il risultato che l’Italia rischia di perdere 1,2 miliardi di PNRR perché non hanno fatto i posti per studenti. Gli studentati poi sono classificati come edilizia residenziale sociale godono di una serie di agevolazioni fiscali, benefici, perché poi facessero canoni convenzionati. “Ebbene, a Milano le convenzioni hanno riguardato il canone, ma la voce di spesa è composta dal canone e poi da servizi, infatti sono stati fatti studentati di lusso con piscina e palestra, così che ai 300 euro concordati per la stanza si aggiungono 600 di servizi”, continua Gainsforth. Il problema non è “demonizzare il privato, ma avere un pubblico forte che ha chiaro cosa si deve fare”.
C’è un poi una questione ulteriore. Dove finiscono i soldi generati dal turismo, in che modo arricchiscono la comunità? Ad esempio la tassa di soggiorno, nata con un intento ambientale e che dovrebbe essere impiegata per servizi alla popolazione, alla fine viene usata “per attrarre ancora più turisti, sempre senza chiedersi che turismo vogliamo e che società vogliamo. Posso anche mettere una tassa di soggiorno a 50 euro ma cosa ci voglio fare con quei soldi?”, si chiede Nadotti, che pone anche la questione di quanto i turisti influiscano sui servizi della città, mettendoli in crisi. “Nel libro”, spiega “cito il pronto soccorso, ma anche i trasporti e tutti i servizi di pubblica sicurezza, perché nelle località turistiche tutti questi servizi sono tarati sui residenti”.
Non è una soluzione neanche il cosiddetto turismo green. “A parte il problema delle certificazioni, con i vari bollini dati a sproposito”, afferma la giornalista, “non esiste un turismo che impatti zero, servirebbe il controllo di tutta la filiera. Non basta andare in un albergo col buffet biologico o con i pannelli solari, o dove ti dicono di non sprecare l’acqua, per fare turismo ecologico”.
Ma allora cosa serve perché i residenti non vengano cacciati dalle città e al tempo stesso si possa ricominciare a parlare di come restituire il diritto alla casa? Per Nadotti “servono dei limiti, che siano fondati su un’idea precisa di turismo. Quindi serve programmare, prendere decisioni politiche per non lasciare che le scelte in ambito turistico le facciano soltanto i privati e gli imprenditori”. Secondo Gainsforth, invece, “andrebbero interrotti i piani di vendita dell’edilizia pubblica e ci vorrebbero politiche per l’affitto sociale, soprattutto sulle case vuote: occorre parlare dall’esistente, non serve altro consumo di suolo e per costruire nuovi immobili ci sono anni. Bisogna poi regolamentare gli affitti brevi. Ma soprattutto ci vuole un dibattito culturale sui tema dell’edilizia, sui valori immobiliari, sulla tassazione delle case, che deve essere differenziata a seconda delle aree. Un dibattito, insomma, sul diritto alla casa, oggi sempre più negato”. Sia dal turismo di massa che da politiche assenti o sbagliate.