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Il consiglio comunale respinge la decadenza, Lucano resta sindaco di Riace: “Spero si chiuda qui”. La prefettura annunciato battaglia

Secondo il Viminale, in seguito alla condanna definitiva a 18 mesi per un falso contestato nel processo Xenia l'europarlamentare di Avs dovrebbe lasciare la fascia di primi cittadino, ma intanto ha incassato il sostegno della sua maggioranza

Per scongiurare il rischio decadenza ancora mancano diversi passaggi. Ma intanto è “buona la prima” per Mimmo Lucano che ieri sera ha incassato il voto favorevole della sua maggioranza. Il consiglio comunale di Riace, infatti, ha votato contro la decadenza del sindaco invocata lo scorso 13 marzo dalla prefettura di Reggio Calabria, dopo un parere del ministero dell’Interno secondo il quale, in seguito alla condanna definitiva a 18 mesi per un falso che era contestato nell’ambito del processo Xenia a Lucano, quest’ultimo dovrebbe decadere dalla carica di sindaco. A detta del Viminale, la condanna di Lucano rientrerebbe nella fattispecie della legge Severino. Proprio per questo, qualche settimana dopo la sentenza di Cassazione, il prefetto Clara Vaccaro aveva inviato una lettera al segretario e al presidente del Consiglio comunale invitandoli a convocare l’organo consiliare che avrebbe dovuto prendere atto della ineleggibilità sopravvenuta dopo le elezioni dello scorso giugno.

Una tappa obbligata, quindi, per il Consiglio comunale così come era scontato che la maggioranza dell’assemblea la pensasse in maniera diametralmente opposta al ministero dell’Interno. Contro la decadenza, infatti, hanno votato i sei consiglieri di maggioranza mentre il presidente del Consiglio si è astenuto. Non pervenuta, invece, l’opposizione che nei giorni scorsi aveva scritto al prefetto una lettera lamentandosi che Lucano ha nominato un nuovo vicesindaco. Una missiva in cui l’opposizione ha dato dimostrazione di non conoscere la legge Severino. Non si spiega altrimenti se, nelle poche righe scritte al prefetto, l’opposizione ha parlato di “decadenza automatica” di Lucano e, addirittura, di “decadenza disposta dalla sentenza definitiva”. La risposta inviata dal prefetto il 28 marzo era scontata: “Fino a quando il Consesso non delibera in tal senso, non risulta integrata alcuna causa di decadenza o dismissione dall’incarico elettivo. Ne consegue che gli atti adottati medio tempore risultano pienamente validi ed efficaci”.

L’ipotesi di decadenza è stata sempre contestata da Mimmo Lucano che, oltre a essere sindaco di Riace, è pure europarlamentare di Avs. “Non avevo dubbi sulla decisione del Consiglio comunale che avrebbe votato contro la mia decadenza – ha affermato – Spero che la vicenda si chiuda qui, ma se la Prefettura, come ha già annunciato, promuoverà l’azione popolare, ovviamente cercherò di far valere le mie ragioni in tutte le sedi opportune che la legge mi consentirà. Nel mio caso l’applicazione della legge Severino, per come dicono tutti gli avvocati ed esperti di diritto amministrativo, è assurda. Proprio per questo stiamo pensando di rivolgerci al presidente della Repubblica Sergio Mattarella”. Adesso la palla passa alla prefettura che ha già annunciato (nella stessa lettera inviata all’opposizione) “che in caso di inadempienza del Consiglio comunale, lo scrivente (cioè il prefetto, ndr) provvederà a promuovere l’azione popolare a norma dell’articolo 70 del Decreto Legislativo n. 267/2000, volta a prendere atto della decadenza del sindaco”.

In sostanza, la prefettura si rivolgerà a un giudice affinché dichiari lui la decadenza di Lucano che, a questo punto, potrà fare valere le sue ragioni in Tribunale dove sarà assistito dal suo legale Andrea Daqua. Quest’ultimo, nelle scorse settimane, ha definito l’argomento “erroneo”. Rifacendosi “all’articolo 10 lettera ‘d’ del decreto legislativo 235 del 2012”, l’avvocato ha spiegato che “decade da sindaco colui che è stato condannato con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alle funzioni o a un pubblico servizio”. La norma, dunque, secondo Daqua “individua due requisiti alla presenza ‘congiunta’ dei quali scatta la decadenza: uno è collegato alla entità della condanna, cioè superiore a 6 mesi, e l’altro è collegato alla condotta cioè deve trattarsi di reato commesso con ‘abuso di potere o in violazione dei doveri‘. Così come si evince da un parere del Ministero dell’interno del marzo 2020, l’accertamento della condotta rilevante per l’applicazione della condanna spetta solo ed esclusivamente al giudice penale, non potendo né l’amministrazione, quindi Prefettura, Ministero o Consiglio comunale, né il giudice dell’eventuale procedimento sul giudizio elettorale entrare nel merito di detta valutazione.

Nel nostro caso né la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, né quella della Cassazione fanno riferimento alcuno al presunto abuso di potere o a violazione dei doveri. Anzi, la Corte di Appello ha escluso categoricamente la condotta che sarebbe stata necessaria e rilevante ai fini della Severino. I giudici penali, infatti, non soltanto hanno assolto Lucano da quasi tutti i reati a lui ascritti, riducendo in misura considerevole l’entità della pena principale, ma hanno espressamente dichiarato, non comminandola quindi, la perdita di efficacia della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. “Tale decisione, – è la conclusione dell’avvocato di Lucano – senza l’applicazione della interdizione dai pubblici uffici, è la prova evidente che il giudice penale, nel considerare integrato il reato di falso contestato, ha escluso che lo stesso sia stato commesso con abuso di potere o con violazione dei doveri inerenti alle funzioni. Per questo ritengo erroneo parlare di decadenza di Lucano”.