
Depositata ai pm un'informativa della Postale: si indaga sulle modalità di acquisizione dei dati. Renzi: "Il capo dell'Agenzia per la cybersecurity si dimetta"
Magistratura, Garante della privacy e Parlamento si muovono sul caso – sollevato dal Fatto – delle piattaforme online a pagamento dove è possibile trovare numeri di telefono di migliaia di personalità importantissime, comprese le massime autorità dello Stato. La Polizia postale, che indaga sulla vicenda dopo la denuncia dell’informatico Andrea Mavilla, ha inviato un’informativa alla Procura di Roma: il procuratore Francesco Lo Voi ha aperto un fascicolo, ancora senza indagati né ipotesi di reato. L’inchiesta è affidata agli uomini del Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche (Cnaipic): si lavora per ricostruire il modo in cui le aziende che gestiscono i portali sono entrate in possesso di numeri e altri dati personali, per capire se l’acquisizione sia stata lecita o meno.
Sulla vicenda ha aperto un’istruttoria anche l’Autorità garante per la protezione dei dati personali: è stata inviata una richiesta di informazioni a Lusha Systems Inc., società statunitense che vende – spiega l’Authority in una nota – “recapiti anche telefonici di dubbia provenienza anche di persone che vivono in Italia, inclusi quelli di rappresentanti di spicco delle istituzioni”. In particolare, si legge, la società “dovrà specificare quanti siano i dati di persone che vivono in Italia raccolti o trattati, chiarire le modalità di raccolta e fornire maggiori informazioni su ciascuna fonte che alimenta il proprio database. Lusha, inoltre dovrà chiarire se sono oggetto di trattamento i dati personali di utenti che non utilizzano la piattaforma e, con particolare riguardo agli indirizzi e-mail e ai numeri di telefono, dovrà specificare: le fonti di acquisizione; se viene acquisito il consenso per l’invio di comunicazioni commerciali o pubblicitarie o il compimento di ricerche di mercato; le finalità per le quali tali dati vengono comunicati agli utenti e la relativa richiesta di consenso”.
Dalla politica si fa sentire Matteo Renzi, che chiede le dimissioni del direttore dell’Agenzia nazionale per la cybersicurezza, il prefetto Bruno Frattasi, già prefetto di Roma e capo gabinetto del Viminale. “Oggi il Fatto quotidiano – non propriamente la mia lettura preferita – dimostra come i numeri di telefono delle autorità italiane siano reperibili liberamente su Internet“, scrive il leader di Italia viva nella sua newsletter. E l’autorità cyber che fa? Assume a più non posso ma non riesce a controllare nulla. Perché quando scegli sulla base dell’amichettismo e non del merito finisce che siamo tutti più a rischio. Spero che il prefetto Frattasi, brava persona ma non adatta a guidare la cybersicurezza, lasci subito l’incarico e al suo posto vada uno come Nicola Gratteri“, il procuratore capo di Napoli, chiede Renzi. Come ha raccontato il nostro giornale, Mavilla aveva avvertito con un post su Linkedin l’agenzia guidata da Frattesi che online erano reperibili tutti i nomi e i cognomi dei suoi dipendenti, compresi indirizzi mail e numeri di telefono. La risposta dell’Acn era stata: “Bah, a noi pare una bufala. Saluti”.