
La Corte d'Assise di Rovigo ha ritenuto responsabili i tre giovani di detenzione di esplosivo in luogo pubblico. Cadute le accuse di tentato omicidio e strage, ma resta l'aggravante dell'odio razziale
Piazzarono un ordigno sul portone di un residence di Adria, in provincia di Rovigo, vicinissimo a un centro d’accoglienza per i migranti. Per questo sono stati condannati a 6 anni di carcere tre giovani poco più che ventenni che vivono in diversi paesi della zona. La sentenza è stata pronunciata dalla Corte d’Assise di Rovigo che ha anche disposto una provvisionale di 70mila euro a favore di 12 parti civili: 15mila a favore del Comune di Adria, 10mila per ciascuno di due residenti della palazzina e 5.000 a testa per altri nove condomini. La Corte ha riconosciuto come responsabili Nicolò Siviero, 24 anni di Porto Viro, Thomas Marangon, 22 anni di Taglio di Po e Cristian Tuttolomondo, 23enne di Loreo, ma solo per il reato di detenzione e porto di esplosivo in luogo pubblico ritenendo non provate (“perché il fatto non costituisce reato”) le altre accuse di tentato omicidio plurimo e strage, aggravati dall’odio razziale. I pm, proprio per questo, al termine della requisitoria avevano chiesto una pena a 16 anni e 11 mesi di carcere a testa. Davanti alla Corte d’Assise i tre giovani avevano ammesso l’atto compiuto, ma negando ogni sfumatura razziale e dolosa, e riconducendolo piuttosto ad una “bravata notturna”: “Pensavamo che la palazzina fosse abbandonata”. Una tesi alla quale comunque i giudici non hanno creduto: pur escludendo i reati più gravi è stata confermata l’aggravante dell’odio razziale. Le difese ricorreranno in appello.
I tre – ai domiciliari dall’ottobre del 2023 – entrarono in azione la sera del 31 marzo 2023: arrivarono nella frazione adriese di Cavanella Po con un’auto con targa coperta, indossando passamontagna, evitando strade che avessero telecamere di sistemi di videosorveglianza. Secondo le indagini, la bomba artigianale – composto da una miscela pirotecnica a base di perclorato di potassio, polvere nera e alluminio – venne fatta esplodere alla base del portone del residence a tre piani di via Dogana, nella quale vivevano famiglie di italiani e stranieri, poco distante dal centro di accoglienza migranti. L’esplosione distrusse l’androne dell’edificio, le porte di tre dei sei appartamenti al primo e secondo piano, numerose finestre. Nessuno riportò ferite, anche se vetri e altri detriti rappresentarono un pericolo per l’incolumità dei condomini. La procuratrice capo Manuela Fasolato, durante la requisitoria, ha ricordato che nelle intercettazioni i giovani espressero concetti come quello di dare una “lezione ai marocchi” e “farglielo capire”, mentre il residente bersaglio dell’ordigno era stato chiamato “la Mecca“.
Come ricordano ancora oggi i giornali locali il processo nasce da una parte dell’inchiesta più ampia – condotta dai carabinieri e coordinata dalla Procura – sulla presunta esistenza di un gruppo xenofobo e violento in attività nel Basso Polesine con aggressioni, pestaggi, tentativi di speronamento di stranieri in bici, un raid esplosivo nell’estate 2023 al Villaggio Tizè nella località balneare di Rosolina Mare.