
L'istruzione parentale prevede tempi e spazi molto più lunghi, non avviene in un luogo perimetrato e non si orienta quasi esclusivamente a contenuti preordinati e somministrati secondo il paradigma docente-discente, ma “asseconda i ritmi biologici della vita”
Si chiama homeschooling, anche se in italiano il termine amministrativo che la identifica è “istruzione parentale”. Se ne parla spesso, anche perché finisce, talvolta, per essere accusata di isolare i ragazzi e sottrarli all’importante socialità della scuola. Ma, come spiega Sergio Leali nel bel libro Homeschooling. Una scelta consapevole oltre gli slogan (Terra Nuova), l’istruzione parentale è cosa ben diversa da come la si racconta (nel libro si trovano anche le risposte a tutti gli aspetti pratici e tecnici dell’istruzione parentale).
Un apprendimento itinerante
Seguendo le indicazioni nazionali, l’homeschooling si distribuisce su tempi lunghi, scardinando la rigida suddivisone scolastica. Non solo. L’istruzione parentale – fondata sulla Costituzione stessa secondo cui l’insegnamento delle arti e delle scienze è libero e lo Stato individua le linee guida dell’istruzione – non si fa solo sui libri, che pure sono fondamentali. In certe sue modalità è un apprendimento itinerante, che si sviluppa dall’incontro con un ambiente fatto di cose, persone, situazioni, da cui naturalmente scaturisce l’esigenza di sapere.
Ma quanto è fondamentale, per questo tipo di istruzione, abitare all’interno della natura, o avere un giardino? L’importante è, nei modi possibili, coltivarne un rapporto continuativo e libero. “Si può apprendere anche dalla natura antropizzata della città – che offre opportunità di socializzazione importanti – ma è ovvio che”, spiega l’esperto, “se si fa istruzione parentale può essere opportuno mettere in conto di uscire dalla città ovvero di commisurare l’abitare questo mondo tra il vivere in natura e vivere tra gli artefatti umani”. Ad esempio, recarsi in un bosco, fondamentale per chi fa homeschooling, ma senza seguire percorsi già pronti che arrivano a traguardi preordinati, piuttosto “addentrandosi in maniera determinata dall’interesse del soggetto che sta apprendendo, che sta svolgendo la sua ricerca”. L’approccio sensoriale, outdoor ma anche indoor, mette chi apprende in contatto con la concretezza dei dati fisici delle cose. “Trovarsi a gestire la presenza di una biscia nel corso di una camminata è molto diverso che osservarla unicamente in un documentario didattico”, nota l’autore, anche se l’istruzione può completarsi con materiali audiovisivi e ricerche in rete successivamente.
Una continua osmosi tra natura e cultura
In generale, chi apprende dovrebbe avere accesso agli elementi naturali nella più vasta gamma possibile, “non solo prato con erbetta da golf, ma erba che cresce e fiorisce, alberi da frutto, spazi per la coltivazione più o meno estesa, ciuffi o arbusti che nascono spontanei. Lo stesso vale per il contatto con animali nella loro quotidianità”.
In conclusione, l’apprendimento nell’homeschooling “cresce e si consolida in una continua osmosi tra cultura e natura”. In questo senso, il rapporto fondamentale è quello con il paesaggio, che sia urbano, rurale o ibrido, perché il paesaggio è “uno straordinario palinsesto per tessuti di apprendimento ricchi, solidi e resistenti. Dalla lettura di un paesaggio brutto possono scaturire riflessioni e ricerche tendenti alla messa in luce degli errori e alla loro correzione, mentre un paesaggio armonico metterà in rilievo positivo l’insieme delle buone azioni che lo hanno determinato”.
Tutto ciò è difficile in un contesto scolastico classico, dove la percorrenza fisica e concettuale di lunghi spazi avviene in tempi sempre più brevi e sporadici.