Da un lato gli aiuti alle imprese per le assunzioni già approvati lo scorso autunno, ancora non entrati in vigore in mancanza del decreto attuativo. E altri mini incentivi per chi fa un contratto a un under 35 o a una donna. Dall’altro l’annunciato bonus per i dipendenti, ma con una platea ridotta e un mese di ritardo: cento euro in più in busta paga, non più a dicembre con la tredicesima bensì a gennaio, solo per chi ha un reddito annuale non superiore a 28mila euro, un coniuge e almeno un figlio a carico (o per i genitori single con un figlio a carico). Nell’incontro con i sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil e Ugl) alla vigilia del 1° maggio, durato circa due ore e mezza, Giorgia Meloni ha fatto il gioco delle tre carte: in assenza di fondi per finanziare un provvedimento ad hoc in vista della festa dei lavoratori (come fece l’anno scorso), la premier si rivende come una novità la super-deduzione del costo del lavoro per chi assume a tempo indeterminato, prevista nel primo modulo della riforma delle imposte sul reddito, approvato in Consiglio dei ministri a ottobre 2023 e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 30 dicembre.
Le disposizioni attuative erano state rinviate a un decreto del ministero dell’Economia di concerto con quello del Lavoro, da adottare entro trenta giorni: la data limite è stata ampiamente sforata e ora il provvedimento sarà inserito nel decreto legge sulla riforma dei fondi di coesione, atteso martedì in Consiglio dei ministri, giusto in tempo perché Meloni possa illustrare ai sindacati il “nuovo” intervento per il lavoro. Le veline di palazzo Chigi parlano di “misure per sostenere l’occupazione dei giovani, delle donne e di alcune categorie di lavoratori svantaggiati”, che “prevedono la riduzione degli oneri contributivi per i nuovi assunti per due anni. Accanto alle misure per sostenere il lavoro dipendente sono previste specifiche disposizioni per favorire l’avvio di nuove attività distinte per il Centro-Nord e il Mezzogiorno”, è la ricostruzione di quanto detto dalla premier al tavolo con le sigle. Nel dettaglio, a chi dal 1° luglio 2024 al 31 dicembre 2025 assume under 35 al loro primo contratto a tempo indeterminato è riconosciuto un esonero dal versamento di massimo cinquecento euro su base mensile, che sale a 666 euro per chi assume lavoratori in Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.
Sempre martedì il Cdm approverà il decreto legislativo sulla revisione di Irpef e Ires, in cui sarà inserito un bonus una tantum fino a cento euro in busta paga. La prima versione, comparsa nella bozza della scorsa settimana, prevedeva un’erogazione da ottanta euro sulla tredicesima per tutti i dipendenti con reddito fino a 15mila euro, poi trasformato un’indennità “fino a cento euro” da corrispondere ai lavoratori con reddito fino a 28mila euro e con coniuge e almeno un figlio a carico. L’intervento costa cento milioni, una somma quasi trascurabile rispetto al bilancio dello Stato: eppure la settimana scorsa l’arrivo in Cdm del decreto è slittato per la necessità di approfondimenti sulle “compatibilità finanziarie”, cioè per la difficoltà di trovare le coperture. Così alla fine la “mancetta” è stata spostata a gennaio 2025, per non gravare sul bilancio di quest’anno. “Questo provvedimento rientra nel più ampio lavoro che il Governo ha portato avanti finora per difendere il potere d’acquisto delle famiglie e dei lavoratori, segnatamente quelli più esposti”, rivendica la premier.
Critici i sindacati: “Nel decreto, come sta capitando spesso, ci sono piccole cose sul lavoro, come i bonus una tantum e defiscalizzazioni già decise da tempo che ora hanno i provvedimenti attuativi. Ma nulla di strutturale, anche perché mancano le coperture finanziarie”, dice uscendo da palazzo Chigi Francesca Re David, segretaria nazionale della Cgil. Non c’è “nulla sul salario, che è un’emergenza vera. Andrebbero defiscalizzati i contratti nazionali ma senza riforma fiscale è complicato”, lamenta. Anzi, spiega, Meloni “ci ha detto che il cuneo non era argomento di oggi, quindi non abbiamo avuto conferme nemmeno su questo punto. Il giudizio non è positivo né sulle modalità né sui “contenuti a bonus”, l’emergenza precarietà e salario sono assenti”.