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“In Ue servono infrastrutture che favoriscano il trasferimento di mezzi militari”: Bruxelles mette le mani avanti sull’escalation in Ucraina e pressa gli Stati

Lo sblocco del conflitto ucraino e la lenta avanzata russa nel Donbass, col rischio di uno sfondamento temuto anche da alti ufficiali di Kiev, ha di nuovo fatto salire l’allarme sicurezza anche in Europa. Adesso le parole del presidente francese, Emmanuel Macron, sull’invio di truppe in Ucraina non possono più essere considerate esclusivamente una provocazione politica. E per questo, dopo la volontà manifestata dal Consiglio Esteri dell’Ue di creare un piano per la “preparazione militare-civile rafforzata, da Bruxelles si inizia a pensare anche a come trasferire in maniera più rapida ed efficiente mezzi e sistemi d’arma all’interno dei 27 Stati membri.

La direttrice generale per i trasporti (DG MOVE) della Commissione Ue, Magda Kopczynska, ha confermato che sono in corso “discussioni a livello tecnico con i Paesi membri, con la Nato e con i rappresentanti dei ministeri della Difesa per avere una prospettiva più ampia su come vogliamo costruire le infrastrutture“, incluse quelle utili ai fini militari. Non si tratta di una strategia emergenziale, sostiene Kopczynska, ma che certamente ha subito un’accelerazione a causa dell’attuale situazione sul campo di battaglia: “Abbiamo iniziato a pensare alle possibili esigenze di mobilità militare già nel 2014, dopo la prima invasione russa della Crimea. Ma non avevamo idea che quella parte di infrastruttura sarebbe stata utilizzata per lo spostamento di attrezzature militari così presto”, ha aggiunto.

Cosa devono fare quindi gli Stati membri secondo la Commissione? “Chiediamo agli Stati membri di verificare se le infrastrutture di cui dispongono siano adatte nel caso in cui diventino necessarie per i movimenti di attrezzature militari”, spiega Kopczynska a margine dei Connecting Europe Days. Parole che non chiariscono se questa mossa sia legata alla necessità di trasferire più velocemente armamenti da fornire tempestivamente alle forze di Kiev, se invece debba servire a fornire una risposta rapida in caso di attacco armato in territorio Nato/Ue o entrambe le cose. Di certo c’è che la Commissione europea ha già proposto di inserire la mobilità militare come parte dello strumento di finanziamento per collegare l’Europa (la Connecting Europe Facility) per l’attuale prospettiva finanziaria, quindi prima dell’invasione dell’Ucraina.

Sta ora ai governi stabilire, nel momento in cui si costruiscono nuove infrastrutture o si interviene su quelle già esistenti, stabilire se queste possano essere utili per un utilizzo non solo civile, ma anche militare, e programmare di conseguenza gli interventi, come ad esempio “ponti resistenti al passaggio di carri armati“. Per poter centrare l’obiettivo la Commissione aveva chiesto per l’attuale esercizio finanziario 6 miliardi di euro, ma ne ha visti arrivare solo 1,7. Ma considerate le attuali tensioni geopolitiche, Kopczynska si è detta convinta che “la sicurezza, non solo quella militare, ma anche quella economica e climatica, sia sicuramente un aspetto che gli Stati membri vorranno vedere riflesso nel prossimo bilancio” post 2027.

La decisione, secondo fonti della Commissione sentite da Ilfattoquotidiano.it, deve essere letta in funzione di “sdoppiamento dalla Nato“, anche per le incognite legate alle prossime elezioni americane: “Siccome le chance di Trump sono alte al momento, si sta lavorando per creare delle capacità europee che possano lavorare anche senza il supporto strategico Nato. La mobility di cui si parla è una di queste”. Altre fonti del Parlamento Ue confermano, spiegando però che la lettura deve essere doppia: da una parte vi è la necessità di favorire lo spostamento di mezzi per le forniture costanti a Kiev, dall’altra, come detto, anche quella di garantire una risposta d’intervento rapida in caso di attacco russo a un Paese dell’Ue. E queste motivazioni non sono scollegate dall’interpretazione che arriva dalla fonte della Commissione. Il punto più complicato da risolvere, spiegano, è quello dello scartamento ferroviario, dato che nei Paesi dell’est, ex Patto di Varsavia, non è stato completamente uniformato a quello della maggior parte dell’Europa centrale.

Twitter: @GianniRosini