Politica

Concorsi truccati, minacce e assenteismo: l’azienda dei bus di Bari raccontata dal suo ex capo. “È uno strumento di consenso elettorale”

“Sorpreso? Ma niente affatto”. Antonio Di Matteo non batte ciglio di fronte allo scandalo che ha travolto Amtab spa, la municipalizzata del trasporto pubblico di Bari di cui è stato presidente dal 2006 al 2011, sotto Michele Emiliano sindaco. L’azienda è ora al centro dell’inchiesta “Codice interno” della Direzione distrettuale antimafia che, oltre ad aver portato all’arresto di 137 persone per presunti intrecci tra mafia e politica, ha fatto emergere un giro di assunzioni gestite dalla criminalità organizzata: secondo gli inquirenti il clan Parisi – uno dei più temuti della città – aveva affondato le mani nell’Amtab. Ex ferroviere, ex consigliere comunale, sindacalista e con un passato in Rifondazione Comunista, fuori dalla scena politica da diversi anni, Di Matteo racconta la propria esperienza senza freni: “Vivevo con le spalle sempre rivolte al muro”, dice, riferendosi al fatto che, dentro Amtab, le persone fidate erano poche. Pochissime. E i ricordi sono ancora molto vividi. Come quello che lo riporta al 2009, ai giorni della prima prova del concorso per autisti: “Mi fu riferito che alcune persone erano in possesso delle riposte esatte. E che, per di più, ostentavano l’appartenenza a clan malavitosi”, dice al fattoquotidiano.it. L’allora presidente tentò di denunciare l’accaduto, ma senza successo: “Purtroppo chi era in possesso delle informazioni, e avrebbe potuto davvero denunciare, si tirò indietro per paura”. Quando furono pubblicati i vincitori della prima selezione, poi, “vedemmo dei nomi che ci lasciarono molto perplessi”, spiega. “Però sa, l’essere un consanguineo non è una prova di associazione mafiosa”.

All’interno di Amtab il clima non era sereno, racconta Di Matteo. “C’era un po’ una logica dell'”io non rompo le scatole a te e tu non le rompi a me””. Parla di una situazionepesante” nei rapporti interni, “ereditata dall’amministrazione di centrodestra”. E rimprovera alla politica di “aver sottovalutato una questione cruciale: l’assenteismo”. A quel tempo infatti, in un’azienda di ottocento dipendenti, il tasso di assenza giornaliera dal lavoro sfiorava il 17%. Questo comportava due problemi: la mancanza di personale – con le corse degli autobus che saltavano di continuo – e l’aumento dei costi per gli straordinari necessari a coprirla. Ma a questo punto scattava un altro automatismo: il ricorso alle agenzie interinali. “Non c’erano criteri per determinare chi potesse entrare in Amtab in questo modo. Noi chiedevamo solo un certo numero di autisti che sapessero guidare i bus, non potevamo decidere chi fossero. E qui c’è un grande “però”. Perché”, continua come un fiume in piena, “tutti sapevano che quella era la porta d’accesso all’azienda. Mi sono spiegato?”. Da lì si arrivava alle richieste di stabilizzazione. Nell’epoca Emiliano-Decaro, però, questo meccanismo fu bloccato da una norma del governo Berlusconi che equiparava le municipalizzate alla pubblica amministrazione, obbligando a ricorrere alla procedura concorsuale.

E così si arriva al concorso del 2009. “E le tracce furono diffuse prima della prova”, ribadisce Di Matteo. Che subito dopo precisa: “Beh, si deve tener conto che noi affidammo ad una società esterna il compito di svolgere tutte le procedure concorsuali. Se tu minacci un responsabile di una agenzia interinale o di una società, io penso che nella debolezza umana e nella paura ci sia un vulnus”. La politica, in tutto ciò, con Amtab ha avuto rapporti alterni. “Io, personalmente, di rottura”, tiene a specificare l’ex presidente. Le cronache dell’epoca – e i suoi ricordi attuali – raccontano del suo feeling inesistente con Emiliano e di un ottimo rapporto, invece, con l’attuale sindaco Antonio Decaro, all’epoca assessore comunali ai Trasporti. Ma il punto non è tanto questo, quanto il fatto, spiega. “che la politica faceva richieste per vie traverse”. Quali? “Le più classiche: far avanzare di livello questo o quello, dare un turno più confacente a esigenze, spesso false. Ma è una logica atavica. Lo fanno da sempre tutti, di qualsiasi schieramento. Nessuno, e dico nessuno, può scagliare la prima pietra”.

Nei cinque anni alla guida dell’Amtab non sono mancati momenti di preoccupazione. A pochi mesi dalla scadenza del mandato, Di Matteo ricorda di “telefonate notturne con il rantolo del moribondo” e di un attentato subito dall’azienda: da un autobus si sganciò una ruota che solo per un’incredibile fortuna non colpì nessuno. Fu appurato poi che il bullone era stato svitato di proposito. “Tutti modi per dirmi di andarmene”, sostiene lui. E rivendica: “Quando ereditai l’Amtab dal centrodestra, ereditai anche quattro milioni e mezzo di euro di deficit, furti di gasolio continui, assenteismo e rapporti interni che non erano dei più trasparenti. Ho lasciato un’azienda in pareggio. La cosa difficile del gestire una realtà così grande è il fatto che è considerata uno strumento di acquisizione di consenso elettorale. Da sempre”. E poi insiste per raccontare un ultimo aneddoto: “Ci fu bisogno di fare una gara per la fornitura di giacconi per gli ausiliari della sosta. Quando vidi l’aggiudicazione, notai il prezzo del singolo giaccone: 350 euro. Mi sembrò una cifra altissima, chiesi per sicurezza alle mie figlie che mi confermarono che i modelli più costosi e alla moda avevano prezzi simili. Annullai la gara e ne feci un’altra. Non perché i dipendenti non dovessero vestire bene ma perché potevamo trovare giacche da lavoro a un prezzo più conveniente. Aggiudicammo la fornitura per la metà del prezzo. Ne fui contento”. Una storia a lieto fine, dunque? “No, quando sono andato via ho saputo che quei giacconi non sono mai stati utilizzati”.