Salute

Streptococco A, lo studio di Policlinico e Humanitas: 6 morti e 5 pazienti in terapia intensiva a Milano

Lo streptococco A sta colpendo più che in passato. Lo scorso inverno la circolazione è iniziata in anticipo e questo ha contribuito a innescare una fortissima esplosione dei casi, anche gravi. Uno studio del Policlinico e dell’Humanitas di Milano, come raccontato sul Corriere della sera, ha scoperto due aspetti inediti del batterio circolato a Milano nei sei mesi a cavallo tra 2022 e 2023, con differenze rispetto alle ondate dei cinque anni precedenti al Covid-19: ha colpito di più gli adulti e con forme molto più gravi che in passato. L’incremento maggiore è stato osservato proprio per le infezioni ‘invasive’ che nel solo primo trimestre del 2023 sono arrivate a 34 casi, e cioè circa il triplo rispetto al numero medio costantemente osservato nello stesso periodo dell’anno prima della pandemia, che ha segnato un prima e dopo anche a causa delle limitazioni, che hanno abbassato l’immunità a virus e batteri nella popolazione.

Lo streptococco di gruppo A è un batterio comunemente presente in gola e sulla pelle, che nella maggior parte dei casi scatena infezioni di lieve entità, ma a volte può essere associato a malattie pericolose per la salute (e addirittura per la vita). Lo scorso inverno, come rivela lo studio dei due ospedali, dei 28 casi per i quali i ricercatori sono riusciti a ricostruire l’intero profilo genetico del batterio per un approfondimento epidemiologico – cioè un approfondimento sulla distribuzione e la diffusione della malattia nella popolazione – 11 pazienti hanno avuto conseguenze che hanno messo a rischio la loro vita: 5 sono stati salvati, ma hanno avuto bisogno di un ricovero in terapia intensiva, e 6 sono morti.

Nello studio – pubblicato l’11 gennaio 2024 sulla rivista scientifica Frontiers in Microbiology i ricercatori hanno preso in considerazione anche l’andamento degli ultimi anni, analizzando tutti i casi di streptococco A trattati da Policlinico e Humanitas da gennaio 2015 a marzo 2023 per un totale di circa 2.900 pazienti. Per la maggior parte si è comunque trattato di infezioni “non invasive” (cioè limitate alle alte vie aeree, senza penetrazione profonda nel sangue, nei tessuti o nei polmoni) e che hanno colpito bambini o ragazzi.

“Prima del Covid-19 l’andamento di infezioni invasive era poco influenzato da fluttuazioni temporali, ed era stabilizzato su valori che non superavano mai i 13 casi ogni tre mesi“, ma dopo la pandemia l’evoluzione piuttosto stabile del passato ha avuto un cambiamento molto marcato. “Durante l’ultimo trimestre del 2022 e il primo del 2023, i nostri ospedali hanno assistito a un forte aumento delle infezioni“. Al contrario di quel che è accaduto in altre zone e altri Paesi d’Europa, come osservato ancora sul Corriere, nei due ospedali milanesi le infezioni più gravi hanno riguardato per la stragrande maggioranza pazienti adulti (95%), “e in oltre la metà dei casi l’infezione ha messo a rischio la vita dei pazienti”.

L’obiettivo principale dello studio era l’analisi genetica dei diversi ceppi del batterio in circolazione, per verificare l’associazione tra una certa forma e le conseguenze per la salute dei contagiati. Allo stesso tempo, hanno tentato di verificare se si potessero identificare delle catene di trasmissione. Ne è emerso che l’inverno scorso a Milano c’è stato “un aumento delle infezioni” senza però l’evidenza di “catene di trasmissione dirette”. Un dato rilevante e inedito, considerato che in passato erano proprio le catene di contagio in determinati luoghi a rischio – come gli ospedali – a essere un fattore determinante della diffusione del batterio. Queste le conclusioni della ricerca: “Nel complesso, questi risultati supportano l’integrazione di studi epidemiologici classici con indagini genomiche per gestire in modo appropriato le infezioni gravi e migliorare la sorveglianza”.

Lo studio scientifico