Giustizia & Impunità

Lotta alla corruzione, l’Italia si è fermata (ed è lontanissima dai principali Paesi Ue). Ecco come funziona la classifica di Transparency

L'indice della corruzione percepita nel 2023 mostra che il governo di centrodestra non ha fatto alcun passo avanti nella lotta al malaffare. E se le riforme annunciate da Nordio diventeranno realtà, l'Italia rischia di tornare indietro. Ci spiega perché Flora Cresswell, responsabile per l'Europa occidentale dell'organizzazione internazionale

La corsa dell’anticorruzione in Italia si è fermata. E il nostro Paese, in tema di lotta al malaffare, sta ben sotto gli standard europei. Lo conferma a ilfattoquotidiano.it Flora Cresswell, coordinatrice di Transparency International per l’Europa Occidentale e il Canada, che in questa veste ha seguito anche la “quotazione” dell’Italia nell’annuale classifica mondiale sulla “corruzione percepita“, presentata martedì 30 gennaio.

“L’indicatore più importante non è tanto la posizione in classifica, che può variare secondo quanto fanno altri Paesi, ma il punteggio ottenuto”, precisa Cresswell. L’Italia ha registrato sì una leggera retrocessione rispetto all’anno scorso, dalla 41esima alla 42esima posizione, ma quello che più conta è che è rimasta all’identico punteggio, pari a 56. Significa che nel primo anno di governo Meloni l’Italia non ha fatto alcun passo avanti in tema di trasparenza e lotta al malaffare. L’indice di corruzione percepita, infatti, non risente di particolari ritardi nella raccolta dei dati e “rappresenta una buona fotografia di quello che è successo nell’anno a cui si riferisce”, assicura la dirigente di Transparency International.

L’indice è il risultato di una sintesi fra gli indicatori di 13 diverse fonti fra cui Banca Mondiale, World Economic Forum, società private di consulenza e gestione del rischio, ed è mirato alla grande corruzione pubblica, non a quella di piccolo cabotaggio. La “percezione” dunque non è quella dell’uomo della strada ma della comunità internazionale degli affari, degli investitori. Tiene conto dei casi di corruzione e malaffare emersi in un Paese, della risposta giudiziaria, del quadro normativo, di aspetti specifici come la protezione degli investigatori, dei giornalisti, dei whistleblower. “L’indice non è necessariamente influenzato dal dibattito politico e dalle posizioni espresse dai partiti”, precisa Cresswell. In altre parole, il punteggio dell’Italia non sconta ancora alcun “effetto Nordio“, che invece potrebbe farsi sentire gli anni prossimi, se andranno in porto alcune delle riforme annunciate, come l’abolizione del reato di abuso d’ufficio e del traffico di influenze.

Il punteggio dell’Italia era migliorato significativamente nell’ultimo decennio, con un aumento dell’indice di 14 punti dal 2012. In quell’anno entrò in vigore la prima vera riforma anticorruzione del dopo Mani pulite, sotto il governo Monti e con ministra della Giustizia Paola Severino. Introduceva fra l’altro nuovi reati chiesti dall’Europa, come il traffico d’influenze, appunto, e la corruzione tra privati. Non solo: introduceva l’Autorità nazionale anticorruzione e imponeva una serie di misure per prevenire il malaffare negli enti pubblici. Mentre queste riforme prendevano via via corpo, altre se ne aggiungevano, come la “Spazzacorrotti” del 2019, firmata dal ministro 5 Stelle Alfonso Bonafede sotto il governo Conte I. Al di là dei giudizi sull’efficacia delle singole norme, questo attivismo era colto dalla comunità internazionale come un segnale di attenzione al problema. Un’attenzione che poi è scemata e anzi ha cambiato verso, tanto che con il governo Meloni molte di quelle riforme sono finite sotto attacco.

Il risultato è che l’Italia continua a rimanere indietro. Essere 41esimi su 180 Paesi ci colloca in fondo al primo quarto della classifica. Se poi guardiamo ai nostri vicini, il nostro punteggio è inferiore alla media dell’Europa occidentale e dell’Unione europea, pari a 65. “Nonostante il miglioramento del decennio passato, l’Italia resta 20 punti indietro a Paesi come l’Estonia (a 76) e l’Irlanda (a 77)”, dice ancora Flora Cresswell. Se vuole salire ulteriormente, può ispirarsi a loro. L’Irlanda per esempio ha una legislazione molto forte sulle lobby, con un registro e un tracciamento del percorso delle leggi, oltre a una regolamentazione più stringente sul finanziamento della politica, un registro dei beneficiari effettivi aperto a tutti e una seria regolazione dei conflitti d’interesse nel rapporto pubblico-privato”. Quanto al Paese baltico, ha conquista posizioni negli anni “grazie a riforme chiave che hanno rafforzato l’indipendenza della magistratura e la trasparenza del settore pubblico“.

Poi ci sono i massimi sistemi. Tra i macigni che zavorrano l’Italia nei bassifondi della classifica europea, Transparency International elenca “l’influenza dei partiti sulla burocrazia statale e sull’assegnazione di commesse pubbliche” nonché “la libertà di stampa, che resta sotto la media della regione”.

Il ministro Nordio ha recentemente attaccato l’uso degli indici di percezione della corruzione e ha promesso che proporrà a breve nuovi strumenti, basati su “dati reali”. “In un fenomeno occulto come la corruzione i dati possono essere distorti e possono portare a sovrastimare o sottostimare il problema”, commenta Cresswell. E soprattutto, “l’indice di percezione è il solo che permetta di fare un confronto significativo fra i diversi Paesi”.