Scuola

Religione a scuola, aumenta il numero di studenti che dicono no: sono quasi 1,1 milioni, 82mila in più dello scorso anno

Nelle ore in cui il ministero dell’Istruzione annuncia l’atteso concorso per gli insegnanti di religione che permetterà a 6.400 persone (su una platea di candidati di circa 18mila secondo i dati dello Snadir, il sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di religione) di avere una cattedra, l’Uaar – l’Unione atei agnostici e razionalisti – “festeggia” l’aumento di chi non si avvale di queste ore: 1.096.846 studenti nell’anno scolastico 2002/2023, 82mila in più rispetto all’anno precedente. Una emorragia che va avanti da anni e che riguarda – secondo l’analisi dello Uaar eseguita sulla base della richiesta di accesso civico ai dati presentata al dicastero di viale Trastevere – soprattutto gli istituti professionali dove si registra il 25,52% di defezioni, i tecnici (23,87%) e infine i licei (17,51%). Nella secondaria di primo grado a non fare religione è il 14,67% degli studenti, nella primaria l’11,74% e nell’infanzia l’11,3%. Numeri in difetto a detta di Loris Tissino: “Sarebbero ancora più alti se avessimo utilizzato i dati ministeriali così come forniti, ma abbiamo prudenzialmente escluso circa il 6% delle scuole perché mostravano fluttuazioni anomale nelle percentuali di non avvalentisi da un anno all’altro”.

L’indagine, messa in piedi in collaborazione con l’associazione “OnData” del progetto #DatiBeneComune, non farà certo piacere alla Confederazione episcopale italiana che proprio lunedì ha firmato l’intesa con il ministro Valditara per il concorso. In ben sei province è stata superata la soglia del 30% di coloro che dicono di no all’insegnamento della religione cattolica: stiamo parlando di Firenze (37,92%), della “patria” del presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, Bologna (36,31%); di Trieste (33,37%), Prato (33,19%), Gorizia (32,51%) e Aosta (30,74%). A livello regionale è proprio la Valle d’Aosta a guidare la classifica (30,74%), seguita dall’Emilia Romagna (27,48%) e dalla Toscana (27,12%). Un dato interessante è quello del Sud che resta più “cattolico” del Nord con Basilicata e Campania che sotto il 4% di ragazzi e famiglie che non mandano i figli in classe quando si fa religione.

Ma quali sono le scuole più laiche d’Italia? Campione assoluto è lo storico professionale Massimo Olivetti di Ivrea con 86 non avvalentisi su 95 (90,53%). Per i licei in vetta alla classifica c’è l’Enriques Agnoletti di Sesto Fiorentino, con l’80,41% di studenti che sceglie di non fare l’irc. Non lontano, a Firenze, vince per la categoria degli istituti tecnici il “Sassetti-Peruzzi” (tecnico per il turismo) con 209 su 244 studenti (l’85,66%). Per le primarie, invece, l’Uaar “premia” Ancona, dove alla “Leonardo da Vinci” l’83,50% dice no alle ore di religione. A Torre Pellice c’è invece la secondaria di primo grado “Rodari”, con record di no all’Irc: 148 su 175, pari all’84,57%.

“Nonostante la pluriennale decrescita del numero di studenti, i dati che la nostra associazione ha avuto in possesso mostrano una richiesta sempre crescente di scuola laica. Una buona novella con cui iniziare questo 2024”, dice il segretario dell’Uaar, Roberto Grendene. Parole non condivise dal segretario nazionale dello Snadir, Orazio Ruscica, che a ilFattoQuotidiano.it dice: “Non condividiamo l’analisi dello Uaar, è fine a se stessa. Ci sono sette milioni di studenti che si avvalgono dell’ora di religione: ciò significa che è una disciplina apprezzata. Semmai l’Unione atei agnostici e razionalisti si occupi di garantire un’alternativa valida a chi non si avvale perché ad oggi ci risulta che spesso non c’è”.

Altra buona notizia è, tuttavia, quella del concorso che se è vero, non andrà a soddisfare tutti i possibili candidati, arriva a vent’anni dalla prima, e finora unica, procedura bandita nel febbraio 2004 in attuazione della Legge 186/03. I canali di “ingresso” nel mondo della scuola per i docenti di religione, grazie alla firma tra Governo e Cei, saranno due: il concorso ordinario e la procedura straordinaria che è stata approvata nel 2022 a seguito della sentenza della Corte Europea che condannava l’Italia per l’abuso della reiterazione dei contratti dei docenti di religione oltre i 36 mesi.

I posti a disposizione sono 6400: di questi il 30% sarà coperto con la procedura ordinaria (scritto e orale); il 70% con quella straordinaria che prevede per chi ha fatto almeno 36 mesi di servizio, solo una prova orale. Da notare che chi può accedere alla procedura straordinaria può fare anche l’ordinaria: questo per andare incontro a quei maestri o professori che hanno un punteggio minimo avendo fatto meno anni di precariato. Secondo i dati dello Snadir la platea, per la parte ordinaria, sarà di circa 2-3mila partecipanti mentre per la straordinaria parliamo di 15mila circa. Resteranno esclusi – a detta del sindacato autonomo – circa 6-7mila docenti che potranno entrare nelle famose graduatorie ad esaurimento che con il concorso si attiveranno.

I titoli di qualificazione professionale per partecipare al concorso sono quelli indicati dall’Intesa del 28 giugno 2012, rilasciati da facoltà e istituti elencati dal Decreto 70 del 24 luglio 2002 del ministro dell’Istruzione, ma va ricordato che chi vuol fare l’insegnante di religione deve passare dall’ok del vescovo: è prevista, infatti, la certificazione dell’idoneità diocesana all’insegnamento della religione cattolica rilasciata dal responsabile dell’ufficio diocesano competente nei novanta giorni antecedenti alla data di presentazione della domanda di partecipazione.

Una soddisfazione per lo Snadir che tuttavia non nasconde un problema: “Siamo felici – dice Ruscica – che sia stata adottata la procedura straordinaria che riconosce agli insegnanti precari di religione gli stessi diritti di quelli che svolgono altre discipline ma resta il vincolo della Legge 186, una quota del 30%, su proposta dell’ordinario diocesano: si tratta di posti a tempo determinato, rinnovati di anno in anno dai vescovi. Questa situazione aumenta il precariato. Stiamo lavorando per diminuire questa quota appannaggio della Chiesa; vogliamo far comprendere alla Cei che è importante dare ai docenti di religione una stabilità lavorativa per dare un futuro alla propria famiglia”.