Cultura

I bambini del lager di Bergen-Belsen e il gioco del “treno azzurro”: un libro racconta la loro storia

Sono migliaia i bambini di tutte le età che hanno varcato i cancelli dello Stalag 311, il lager della bassa Sassonia dove è stata rinchiusa anche Anna Frank. Negli ultimi mesi di vita un settore del campo di concentramento (la Kinderbaracke) fu dedicato a gruppi di bambini di meno di 14 anni. L’iniziativa partì da una giovane prigioniera polacca, Luba Tryszynska, un’infermiera ebrea che riuscì a convincere le autorità naziste ad ospitare i ragazzini tutti insieme in una baracca sotto la sua cura.

La straordinaria vicenda delle “baracche dei bambini” a Bergen-Belsen è raccontata – dopo un notevole lavoro di documentazione – da I bambini del treno di Luca Crippa e Maurizio Onnis (Libreria Pienogiorno, 256 pp., 18,50 euro), già autori di bestseller pubblicati in oltre 60 Paesi e in 12 lingue come La bambina nel vento, Il fotografo di Auschwitz e L’archivista.

In esclusiva per l’Italia ilfattoquotidiano.it ospita un intervento dei due autori.

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di Luca Crippa e Maurizio Onnis*

Due bambini molto piccoli scrutano spaesati dal finestrino di un treno il mistero di ciò che li attende. Lo scatto non rivela la circostanza del viaggio e i due sembrano più preda della stanchezza per l’improvviso cambiamento delle loro abitudini deciso dai genitori che turbati da qualsiasi altro sentimento. Nonostante il senso di smarrimento che aleggia sui loro volti, non possono immaginare l’orrore che li attende.

Sono gli inconsapevoli protagonisti di una delle immagini più iconiche del dramma della seconda guerra mondiale e della Shoah: una fotografia – in realtà un fotogramma tratto da un breve filmato – che immortala un treno in partenza dalla stazione di Amsterdam, il 19 maggio del 1944. Destinazione Bergen-Belsen, Germania. Il filmato fu girato da un prigioniero, Werner Rudolf Breslauer, convinto che la situazione in cui tutti loro erano coinvolti non fosse così tragica, visto che poteva essere documentata da un privato cittadino.

Per quasi ottant’anni non abbiamo saputo i nomi di quei due bambini diventati loro malgrado un simbolo: l’anonima icona delle vittime della perversa, atroce, perfetta macchina nazista della deportazione, prigionia e sterminio di ebrei, rom, omosessuali, testimoni di Geova, dissidenti politici. Né nulla si conosceva della loro sorte: due bambini “perduti” nel vento della storia.

Solo recenti ricerche documentali hanno permesso di identificarli: ora sappiamo che erano due fratelli, Marc Degen, di 3 anni, e la sua sorellina Stella, che al momento di quello scatto ne aveva poco più di 1. Su quel treno, viaggiava con loro anche il cugino Simon, il più grande: un ometto di 4 anni. Per tutti, l’identica meta.

Sono migliaia i bambini di ogni età che hanno varcato i cancelli dello Stalag 311 di Bergen-Belsen, il lager della bassa Sassonia dove fu rinchiusa anche Anna Frank. Molti di loro si sono ritrovati presto soli, perché i genitori, prima i padri poi le madri, sono stati mandati a lavorare come schiavi nell’industria bellica, o in una miniera, nel caso della mamma di Marc e Stella. Neonati, bambini piccoli, adolescenti, abbandonati a loro stessi in mezzo a prigionieri adulti, tutti in lotta per la vita, tra indicibili violenze, razioni di cibo che diventano col passare del tempo sempre più esigue, malattie.

Nel mezzo di una delle notti più buie della storia umana, parecchi di loro hanno incrociato sulla propria strada una prigioniera ebrea polacca di nome Luba Tryszynska, una giovane donna di 26 anni già sopravvissuta ad Auschwitz (dove tuttavia aveva perso il marito e un figlio, il piccolo Isaac, 3 anni, mandato nelle camere a gas): il loro angelo nelle tenebre.

Per quei bambini – insieme a un gruppo di internate altrettanto coraggiose – Luba è riuscita a creare un’oasi segreta all’interno del campo, una baracca dove molti sono stati nascosti e protetti. Per loro ha lavorato, implorato, barattato, rubato cibo, vestiti, medicine, qualsiasi cosa pur di preservarli dai morsi della fame e dalla furia delle guardie, un giorno dopo l’altro. Fino a riconsegnarli liberi al termine dell’orrore.

Per loro, per regalare un sorriso che allentasse la paura, si è inventata persino una favola: il gioco del treno azzurro. Uno dopo l’altro, prima di salire su un convoglio immaginario, ciascun bambino dice dove vuole andare, e la locomotiva li porta a destinazione. “A casa”, sospirano quasi tutti. Sanno che da Bergen-Belsen nessuno può uscire, ma il treno azzurro tiene viva la speranza che un giorno l’incubo in cui sono sprofondati svanirà. Un treno di tenebre li ha portati fin lì – dall’Olanda, dalla Francia, dall’Ungheria, dalla Polonia, dall’Italia, ovunque i nazisti hanno esteso la loro croce uncinata – un treno di luce li farà fuggire via.

Abbiamo scritto I bambini del treno per ricostruire la straordinaria vicenda, per molti versi misconosciuta, delle “baracche dei bambini” di Bergen-Belsen. Raccontando la storia indimenticabile di alcuni di loro, vogliamo ricordarli tutti.

*autori del libro