Cultura

Il falso complotto per uccidere Mussolini “organizzato da inglesi” e i legami col fallito attentato al re d’Inghilterra Edoardo VIII

di Alfio Bernabei

Il primo maggio del 1936, un venerdì pomeriggio, all’ambasciata italiana di Londra giunge un’urgente telefonata. Parla un uomo che si presenta come “Mister Scott”. Dice di avere una comunicazione “riservatissima” e che desidera incontrarsi con persona di fiducia fuori dalla sede della cancelleria. È l’inizio di un misterioso episodio riguardante un complotto che terrà in allarme per quasi due mesi il governo italiano su cui solo oggi è possibile far luce grazie a documenti scoperti in una busta negli archivi del ministero degli Affari Esteri a Roma.

Sorprende non poco che i risvolti di questa vicenda rimasta nell’ombra per quasi novant’anni si collegano con un altro caso dello stesso periodo tuttora avvolto in una cortina di fumo sul quale gli storici inglesi continuano a indagare: l’attentato al re d’Inghilterra Edoardo VIII con accuse all’Italia di aver fornito la pistola per assassinarlo. Un doppio enigma in cui troviamo da una parte Mussolini e dall’altra la classica triade di un intrigo inglese: strateghi dell’establishment, famiglia reale e gli immancabili 007.

Ma innanzitutto la telefonata. L’ambasciata dà appuntamento a “Mister Scott” al numero 15 di Greek Street nel quartiere di Soho al centro della capitale. È la sede della sezione londinese del partito fascista italiano. Quindi chiede al consolato di mandare sul posto l’addetto alla sicurezza, il maresciallo A. Mortara. I due uomini si incontrano alle sei. È tutto specificato nel rapporto che il console, Andrea Rainaldi, consegna a un corriere che parte la sera stessa per Roma. Cosa dice questo primo rapporto indirizzato al ministero degli Affari Esteri che ha come oggetto: “Presunti preparativi di attentato contro S.E. il Capo del Governo”?

Il console scrive che durante l’incontro “Mister Scott” si è dichiarato di essere in realtà G. A. M. Mac Mahon, direttore della rivista ‘Human Gazette” con indirizzo al 135 Westbourny Terrace W.2. Telefono Padd 3155 (all’epoca si usavano numeri e lettere). Per provare la sua vera identità ha mostrato la sua foto stampata sulla rivista e ha rivelato di appartenere al ‘Secret Service’. Dopo essersi detto ammiratore del fascismo, ha fornito informazioni su un complotto contro Mussolini in via di completamento a Milano con un incontro già avvenuto e un altro imminente all’Hotel Cavour di quella città. Consegna un un elenco di sette partecipanti con i loro indirizzi, sempre a Milano. Aggiunge i nomi di altre due persone in Inghilterra definite “a capo di detta organizzazione”. Si tratta del “colonnello Mathews”, e di un certo Sidney Pell di cui fornisce il recapito londinese. Precisa che in realtà Pell è il nome sul suo documento da apolide; in realtà si chiama Ibrahim ed è pronto a partire per Milano in aereo alla fine della settimana. Questi due starebbero anche aiutando l’Etiopia a procurarsi aerei per difendersi dall’invasione italiana.

L’indomani a mezzogiorno c’è un secondo incontro tra Mac Mahon e Mortara nello stesso posto. Il console Rainaldi aggiorna subito il ministero degli Affari Esteri e l’ambasciata italiana. Ai nove nomi di cospiratori già fatti se ne aggiungono altri con i rispettivi indirizzi; due abitano a Bari e uno a Roma. Ci sono ulteriori informazioni sorprendenti rivelate da Mac Mahon: “Emilio Gorsav, residente in Anversa, 40 Rampart Kipdorp, sarebbe un finanziatore dell’impresa” mentre “Simeone Rosenwasser, residente a Trieste, via Valdivivo 33, avrebbe acquistato a Londra un aeroplano da Miss Victor Bruce, dietro pagamento di 1.200 sterline. L’apparecchio sarebbe imbarcato su un piroscafo inglese che toccherebbe i porti di Amburgo e Anversa, destinato a Trieste.”

Pur con un nome così maschile, “Victor Bruce” è una donna che può permettersi di tutto. La sua vera identità è Mildred Mary Petre. Una figura celebre all’epoca. È automobilista da record su macchine da corsa, pilota di motoscafi e avventurosa aviatrice, prima persona a volare dall’Inghilterra al Giappone e attraverso il Mar Giallo. Essendo fondatrice della Commercial Air Hire e co-manager di società nel settore dell’aviazione, potrebbe effettivamente essere in grado di vendere aerei.

Dopo aver ricevuto copie dei rapporti del console Rainaldi, l’ambasciata italiana capeggiata da Dino Grandi manda la sua propria relazione al ministero degli Affari Esteri “circa un complotto contro S.E. il Capo del Governo che si starebbe organizzando in questi giorni a Milano con partecipazione di alcuni elementi israeliti residenti in quella città”. Conferma di aver ricevuto la telefonata di Mac Mahon sotto il nome di “Scott” e di aver chiesto al console di mandare Mortara per incontrarlo. Grandi precisa in un documento a parte: “Il signor Mac Mahon è del tutto sconosciuto a questa Ambasciata. Sul di lui conto, e su quello del Mathews e dell’Ibrahim, presunti organizzatori del complotto, si sta raccogliendo ogni possibile informazione, che mi riservo di trasmettere a V.E.”

È però il console che il 5 maggio aggiorna Roma sulle indagini fatte da Mortara. Scrive: “G. A. M. Mac Mahon vive con la sua famiglia al 135, Westburny Terrace, London W.2. dove ebbe sede direzione ‘Human Gazette’, piccolo giornale scomparso; non apparterrebbe al Secret Service e sarebbe disoccupato. Il colonnello John Rocke Mathewes (e non già Mathews) ha un ufficio al numero 41, Colebourn Court, London S.W.5 come commissionario e altro recapito al n. 30 Newgate Street, Londra E.C.1. Sarebbe altresì collettore di tasse da parte di commercianti. È considerato provvisto di larghi mezzi. Sidney Pell, abitante 156, Anson Road, Londra N.W.2, sarebbe anch’egli commissionario di attività dubbia. Secondo sue recenti abitudini si è allontanato sabato 2 corrente diretto al continente senza precisare destinazione. Aeroplano destinato a Simeone Rosenwasser sarebbe stato spedito via mare Genova anziché Trieste. Riservomi riferire eventuali informazioni”.

Non c’è da stupirsi se entrambi i ministeri degli Affari Esteri e dell’Interno fanno immediatamente scattare indagini sui presunti cospiratori nelle liste di Mac Mahon, specie se si considera che tutto ciò avviene alla vigilia di quello che Mussolini ha motivo di considerare uno dei momenti più gloriosi della sua dittatura. L’invasione dell’Abissinia, iniziata nell’ottobre del 1935, è stata completata e sono in corso i preparativi per celebrare la vittoria il 9 maggio con quella famosa frase dal balcone di Palazzo Venezia: “Finalmente l’Italia ha il suo Impero”. Essendo Mussolini anche capo del ministero degli Affari Esteri, ecco che il suo ufficio si trova contemporaneamente a dover promuovere indagini su un complotto che si direbbe pianificato alla perfezione per farlo assassinare in coincidenza con il trionfale pronunciamento.

Il Duce non è nuovo a trovarsi bersaglio di attentati originati dall’estero. Nel 1926 l’irlandese Violet Gibson, figlia di Lord Ashbourne, gli ha sparato un colpo di pistola ferendolo al naso. Anche nel caso degli attacchi falliti di Michele Schirru e di Angelo Sbardellotto nei primi anni Trenta sono stati rilevati contatti con antifascisti a Londra. Quanto alle minacce dal cielo, nel 1931 l’antifascista Lauro De Bosis ha sparso volantini su Roma. Un volo simile potrebbe potenzialmente mirare a qualche bersaglio ancora più ambizioso.

Tre telegrammi del 12, 16 e 22 maggio scambiati tra il ministero degli Affari Esteri e quello dell’Interno e spediti all’ambasciata e consolato a Londra evidenziano incongruenze in parte rassicuranti. Fatta una verifica sulle persone elencate nel presunto complotto risulta che nessuna di loro dà motivo di preoccupazione. Uno è addirittura iscritto al partito fascista; un altro è morto l’anno prima. Stranamente, un buon numero di loro, pur vivendo in Italia, risulta essere di origine straniera: Germania, Turchia, Ungheria, Lituania e Argentina.

Quanto ai due presunti “organizzatori” del complotto residenti a Londra, non viene trovata traccia di un Sidney Pell giunto a Milano. Nulla in più viene scoperto sul “colonnello Mathews o Mathewes”. Il ministero dell’Interno rileva che il presunto complotto ha somiglianze con un altro denunciato da un certo Damasi Jaroslav a Praga nell’ottobre 1935. Lo stesso ministero fa notare che in maggioranza le persone citate sono commercianti, suggerendo che i loro nomi potrebbero essere stati rilevati da “qualche annuario commerciale telefonico”. Quasi come dire che il complotto molto probabilmente è stato inventato da qualcuno.

Ma la ricerca di informazioni continua. Troviamo tra i documenti una nota del 23 maggio in cui il ministero degli Affari Esteri chiede al consolato di Londra di produrre la fotografia di Mac Mahon. La replica di Rainaldi del 29 tradisce un certo imbarazzo. Osserva che tutti gli sforzi di ottenere l’immagine richiesta sono risultati vani “ma questi sono i connotati forniti da Mortara: statura m. 1,55 circa; corporatura robusta; capelli castani rossicci con lunga calvizie bilaterale; occhi celesti chiari, molto miope, porta occhiali; faccia ovale lunga; naso aquilino deforme; claudicante del piede destro, con la pianta deformata; porta scarpa speciale; veste modestamente.”

Roma non si accontenta. Il 7 giugno il ministero degli Affari Esteri, ora guidato non più da Mussolini ma dal suo genero, Galeazzo Ciano, comunica al consolato di Londra che il ministero dell’Interno chiede di sapere “in quale conto tenga le informazioni fornite dal sedicente Mac Mahon dopo avere constatato il contegno da lui tenuto ultimamente e dopo aver conosciuto i risultati degli accertamenti disposti nel Regno in merito alle informazioni stesse”.

Rainaldi, che forse sperava di poter mettere da parte l’episodio risparmiandogli l’imbarazzo di sentirsi ricordare lo spreco di tempo e di risorse impiegato nell’indagare false piste, risponde dieci giorni dopo. Ricorda al ministero che “Mac Mahon si rifiutò di consegnare il numero della sua cessata rivista ‘Human Gazette’ che riproduceva la sua fotografia” e ribadisce che “non apparterrebbe al ‘Secret Service’ . Continua spiegando che “le insistenze di Mac Mahon per avere una remunerazione si concentrarono in un breve periodo di tempo” e che “non ha mai ricevuto un soldo dal sig. Mortara”. Precisa quindi: “Poiché lo stesso individuo osò venire in cancelleria chiedendo di vedermi, gli feci proibire di entrare in consolato”. Poi il console aggiunge una nota esplosiva: “L’addetto militare presso l’ambasciata, da me richiesto, mi disse che il Mac Mahon nel 1935 apparve al suo ufficio senza fornire informazioni notevoli”.

È quest’ultima osservazione in fondo a una pagina di quello che sembra un documento troncato che apre un vaso di Pandora su domande che sono state esplorate in due libri pubblicati negli ultimi anni in Inghilterra sulla base di documenti desecretati nel National Archive – The Man in the Brown Suit (L’uomo dal vestito scuro, 2019) di James Parry e The Crown in Crisis (La Corona in crisi, 2020) di Alexander Larman. I due autori hanno trovato prove che George McMahon (questa la giusta compitazione del nome) stabilì effettivamente contatto con l’ambasciata italiana intorno al settembre-ottobre 1935 ed ebbe un incontro con l’addetto militare, Alessandro Mondadori. In tale occasione avrebbe consegnato informazioni ricevute da certi suoi amici faccendieri che operavano nel campo delle forniture militari riguardanti armamenti britannici inviati all’Etiopia. Era il tipo di intelligence a cui gli italiani sarebbero stati interessati mentre stavano invadendo quel paese.

Dal canto loro agli inglesi interessava scoprire gli scopi finali delle ambizioni di Mussolini in Africa e quale strategia avrebbe potuto utilizzare nel tentativo di penetrarvi più a fondo. Questo potrebbe spiegare il motivo per cui quando McMahon, preso da scrupoli patriottici, quello stesso ottobre scrive al ministro dell’Interno inglese, Sir John Simon, per dirgli del contatto che ha instaurato con l’ambasciata italiana, viene subito avvicinato dall’agente segreto dell’M.I.5 (Military Intelligence), John Ottaway, che diventa il suo referente trasformandolo in un informatore doppiogiochista. Da una parte McMahon si spaccia agli italiani per uno che ne sa su armamenti destinati all’Etiopia. Dall’altra riporta agli inglesi ciò che gli riesce di apprendere dall’ambasciata.

Sono i documenti inglesi desecretati costituiti in gran parte da resoconti dell’M.I.5 che fanno emergere dubbi su questa prima fase di rapporti tra McMahon e le autorità italiane a Londra. Questi documenti dicono che fu proprio l’ambasciata italiana a chiedergli di adottare il nome “Mister Scott” per tenersi in contatto ogniqualvolta che aveva informazioni da offrire dietro pagamento. È assai improbabile che un tale accordo possa essere avvenuto all’insaputa dell’ambasciatore Grandi. Nasce dunque il sospetto che l’affermazione di quest’ultimo indirizzata al ministero degli Affari Esteri, e quindi a Mussolini, secondo cui McMahon era “completamente sconosciuto a questa Ambasciata” sia una deliberata menzogna. A quale scopo? Grandi cercava forse di nascondere qualcosa al Duce? Da prendere con le pinze è anche l’affermazione dell’addetto militare Mondadori al console Rainaldi secondo cui McMahon aveva fornito “informazioni poco significative””. In tal caso perché veniva invitato a ripresentarsi con un nome falso e dietro pagamento?

Sul versante inglese ci sono interrogativi assai più inquietanti. Tre anni fa è venuto alla luce il cosiddetto memoriale dello stesso McMahon, morto nel 1970, intitolato He Was My King (È stato il mio re) nel quale tra un misto di verità e di invenzioni scrive di essere stato un vero e proprio agente degli italiani, ma soprattutto conferma di aver fatto l’informatore per il governo inglese “sotto la direzione e la supervisione del dipartimento di intelligence militare noto come M.I.5” precisando che per tenerlo in buoni rapporti con le autorità italiane a Londra questo lo riforniva di informazioni che, “sebbene sembrassero importanti per gli italiani, non rivelavano nulla di vitale per noi stessi”. Questo “metodo”, come lo descrive, di renderlo portatore di informazioni fabbricate a tavolino rende legittimo sospettare che il presunto complotto contro Mussolini sia stato architettato proprio dallo stesso M.I.5 per tenere il doppiogiochista in contatto con l’ambasciata. È proprio questo piano studiato per tenere McMahon agganciato alle autorità italiane che catapulta la vicenda su una pista assai scottante sul versante britannico che riguarda l’attentato a re Edoardo VIII.

Incoronato nel gennaio del 1936 e brutalmente giudicato “non adatto a fare il re” anche dal primo ministro dell’epoca Stanley Baldwin, le sue simpatie verso il fascismo e il nazismo stavano causando serie preoccupazioni in diversi ambienti. Inoltre il suo rapporto amoroso con Wallis Simpson, divorziata e americana, era ritenuto intollerabile per il buon mantenimento della corona britannica. Avrebbe finito per abdicare nel dicembre del ’36, ma già prima di quel momento era, per così dire, sovrano non grato. Da ribaltare? Ma come?

Nei citati documenti italiani non c’è nessuna menzione di Edoardo VIII verso cui Mussolini aveva tutte le ragioni di provare grande simpatia proprio per le sue idee politiche. Ma in quelli inglesi viene riportata un’enigmatica mossa fatta dall’ambasciata italiana poco dopo l’incidente del 16 luglio 1936 quando scoppiò la notizia che mentre il re tornava a cavallo a Buckingham Palace un “uomo dal vestito scuro” l’aveva preso di mira con la pistola per ucciderlo. Nessun colpo era partito grazie all’intervento di alcuni astanti e della polizia.

C’è da immaginare che suonarono non pochi campanelli d’allarme tra l’ambasciata italiana e il consolato nell’apprendere che l’autore dell’attentato altri non era che “Mister Scott” o McMahon rivelatosi così fraudolentemente intento a tenersi in contatto con dei suoi funzionari ingannandoli con false storie di un complotto contro il Duce. Di cos’altro poteva essere capace?

Ecco dunque che in anticipo sulla comparsa di McMahon alla sua prima udienza in tribunale del 24 luglio l’incaricato d’affari italiano, ovviamente in consultazione con Roma, presenta al Foreign Office un resoconto dettagliato delle rivelazioni fatte da McMahon a Mortara sul complotto contro il Duce e offre le prove delle infruttuose indagini condotte in Italia e all’estero. Strana mossa davvero. Quasi come dire, ne sapete qualcosa? C’è da pensare che l’intento fosse proprio quello di far capire che se mai il falso complotto era stato fabbricato apposta per tenere McMahon incollato all’ambasciata e quindi distorcere il significato delle sue visite per alludere che aveva agito come loro agente nell’attacco al re il gioco doveva finire lì. L’Italia non intendeva prestarsi ad essere usata per un depistaggio atto a coprire il progetto di chi aveva manovrato per dare al re un segnale di morte.

Si dà il caso che McMahon al suo processo (se la cavò con appena dodici mesi di carcere per detenzione di arma) sostenne in effetti di aver agito dietro l’influenza di una “potenza straniera” finendo per raccontare nel suo memoriale in modo categorico che furono “terroristi italiani vicini all’ambasciata italiana” a dargli il revolver e ad addestrarlo per fargli uccidere il re d’Inghilterra.

Ricco di fantasia ma selettivo sui fatti, McMahon doveva avere i suoi motivi per non rivelare a quale scopo invece era stato istruito a imbrogliare le autorità italiane con il falso complotto contro Mussolini, fatto ora ben dimostrato dai documenti ritrovati negli archivi della Farnesina, anche se lasciano ancora molti interrogativi senza risposta.